lunedì 8 giugno 2015

Volpi nel pollaio





Malgrado il discorso sulla "tolleranza zero”, le istituzioni della società capitalista moderna stanno affondando fino alle ginocchia negli affari mafiosi


Robert Kurz (2000)

Ogni giorno diventa sempre più chiaro quanto i vecchi centri del mondo occidentale si avvicinino progressivamente alle strutture del Terzo Mondo di un tempo. Non sono solo la disgregazione sociale, la crescente povertà di massa e le forme di un’economia informale miserabile che hanno raggiunto le metropoli del capitalismo. Non è solo la rottamazione dell’infrastruttura, diventata tanto visibile a New York, Londra, Parigi o Berlino quanto a Calcutta, Lima, Algeri o Bangkok. Anche gli scandali della “classe politica” hanno raggiunto, nelle democrazie più rinomate, le stesse proporzioni di una qualsiasi “repubblica delle banane”. Fino a poco tempo fa la corruzione diffusa veniva considerata un fenomeno tipico del “sottosviluppo”. In questo campo, le democrazie occidentali desideravano immaginarsi come dei professori che distribuivano voti ai bravi studenti dell’est e del sud: il Brasile venne elogiato per il processo di impeachment contro Fernando Collor de Mello, insieme ai precari governi dell’Europa post-socialista per le loro dichiarazioni di principio contro il pericolo delle strutture mafiose e dell’arricchimento illecito. Così abbiamo constatato che il pollaio è stato consegnato alle cure della volpe: neanche il lignaggio dei signori degli schiavi del nordest brasiliano potrebbe competere in potenziale di corruzione e clientelismo con ciò che si osserva adesso nelle istituzioni democratiche occidentali. In Germania, il partito conservatore della democrazia cristiana (CDU) ha dimostrato di aver svolto un grande business di riciclaggio di denaro durante i suoi anni al potere. Per mascherare il bilancio del partito, grandi somme erano state trasferite dalle istituzioni ufficiali verso conti bancari all’estero. Milioni di marchi sono scomparsi senza lasciar traccia; si suppone che alcuni funzionari di partito, fino ad allora sconosciuti, abbiano accumulato fortune personali nell’operazione. 

Apparato clandestino

Cominciamo a scorgere i contorni oscuri di un apparato illegale e clandestino, il quale ha agito in parallelo agli alunni democraticamente eletti e che controllava uno dei maggiori e più onorati partiti conservatori dell’Unione Europea con metodi mafiosi. Il padrino di questa mafia interpartitica era niente meno che Helmut Kohl, colui che per 16 anni ha guidato il governo tedesco con l’incarico di primo ministro. Considerato che la Germania si è sempre vantata delle sue virtù prussiane – lavoro e disciplina, ma anche incorrutibilità e mantenimento delle garanzie giuridiche formali -, lo shock è stato particolarmente grande. Intanto non c’è giorno che non prometta nuove rivelazioni. Dallo scandalo dei fondi neri, le nuove dimensioni della corruzione sono diventate sempre più visibili. Dai sospetti siamo passati alla quasi certezza che le donazioni illegali ai partiti provenivano dall’industria militare e dalla privatizzazione delle imprese statali. E con ciò il caso assume dimensioni europee e perfino transcontinentali: al centro si trova il conglomerato petrolifero statale francese, il gruppo Elf Aquitaine, che sembra abbia fatto per lungo tempo da intermediario nei trasferimenti illegali di denaro. In vari paesi i procuratori indagano se la vendita della grande raffineria statale Leuna, nell’ex-Germania Orientale, alla Elf Aquitaine sia stata conseguita per mezzo di tangenti. Lo stesso vale per le spedizioni di armi dell’industria bellica tedesca verso l’Arabia Saudita; dal suo esilio nel Canada, l’imprenditore bavarese Karl-Heinz Schreiber, dalla dubbia reputazione, ma molto vicino a importanti politici tedeschi, minaccia ulteriori rivelazioni rispetto a questo fatto. 



Feste trepidanti

In confronto a questa burrasca, casi di piccola corruzione dei politici socialdemocratici appaiono quasi inoffensivi. Wolfgang Glogowski, una delle speranze del nuovo pragmatismo, ha dovuto rinunciare al suo incarico di segretario del Turismo di Stato della Sassonia per aver fatto viaggi di lusso pagati dalle compagnie di turismo. Stessa sorte ha avuto Heinz Schleusser, segretario delle finanze del Nord Reno-Westfalia, i cui viaggi privati in compagnia dei suoi amici erano pagati dalla Westdeutsche Landesbank. Secondo le dichiarazioni degli ex-piloti, questi viaggi erano ordinari tra i politici, a volte con meta verso feste trepidanti a Maiorca (Spagna) e con prostitute a servizio come assistenti di volo. La lista dei casi di corruzione potrebbe estendersi a volontà. Non molto tempo fa l’intero personale della Commissione Europea, l’organo esecutivo dell’unione Europea, ha dovuto dimettersi per il sospetto di corruzione e clientelismo. Il Belgio, la cui capitale, Bruxelles, è anche la sede della burocrazia europea, si distingue da anni per una serie interminabile di scandali, che vanno dalla mafia degli ormoni per il bestiame fino ai casi di pedofilia; si dice che i criminali, che a volte non arretrano neanche di fronte all’omicidio, dispongano di buoni contatti con l’apparato giudiziario e con alti ambienti governativi. 

Crimine e immunità

Anche nella Svizzera tradizionalmente tanto seria affiorano notizie su frodi fiscali e donazioni illegali ai partiti politici. Questo per non parlare della periferia europea, dalla Bulgaria alla Turchia, dove crimine ed economia si trovano intimamente intrecciate: notizie di questo tipo sono lettura quotidiana nei giornali, accanto alla tanto lodata democratizzazione di questi paesi. L’apice dell’audacia è stato tuttavia raggiunto dall’oligarchia russa: il presidente Eltsin, il cui clan si è arricchito senza ostacoli (e probabilmente con i fondi di emergenza del Fmi), è andato in pensione grazie a una legge speciale, che gli ha garantito la totale immunità estesa a tutta la sua famiglia. Così le istituzioni della società capitalista affondano fino alle ginocchia negli affari mafiosi e sono moralmente screditate. Basti pensare al discorso neoliberale e neoconservatore sulla "tolleranza zero" nei confronti delle infrazioni minori della legge. E’ chiaro che questo slogan populista si è distinto fin dall’inizio per la sua estrema ignoranza sociale e non è andato oltre una dichiarazione di guerra abbastanza esplicita delle élite borghesi contro i disoccupati, gli esclusi e i nuovi poveri. Ma l’accettazione dello slogan da parte di larghi strati della popolazione, che si aggrappano alla chimera piccolo borghese di una “vita onorata” e sono diventati parte attiva nella discriminazione dei paria sociali, era almeno legata all’illusione di un certo grado di integrazione personale nelle élite economiche e politiche. Questa è cosa del passato. In Germania, l’ex-ministro dell’interno Manfred Kanther ha portato la bandiera della "tolleranza zero"; avrebbe condannato duramente qualsiasi ladrocinio o passeggero della metro senza biglietto se con questa durezza, propagata dai media, avesse potuto raccogliere più voti. E ora si scopre che Kanther, nel frattempo, partecipava alle “fondi neri” della CDU e andava su e giù con le borse piene di denaro riciclato, come un buon mafioso. 

Onore provvidenziale 

E’ particolarmente rilevante che, proprio in questo contesto, abbia vinto il concetto arcaico di “onore”. Non si tratta di dar nuova vita al concetto ottocentesco e borghese di onore. L’ex-cancelliere Kohl, che fin a poco tempo fa assumeva la posa del grande statista e della figura storica “alla Bismark”, si è sottratto al volere della legge con una franchezza che ha sconcertato i suoi stessi colleghi di partito: la sua “parola d’onore” gli impedirebbe di parlare dell’origine di certe donazioni e tangenti. Ciò rientra perfettamente dentro i principi dell’”omertà", la legge del silenzio della mafia siciliana e della ‘ndrangheta calabrese. 

Non è più l’onore della “buona società” borghese, ma l’onore canagliesco del crimine organizzato, lo stesso che, negli anni ’80, la casta politica delle democrazie dichiarava essere la principale minaccia all’ordine sociale. E ora risulta che buona parte dell’élite politica apparteneva a una o all’altra di queste “società onorate”. Naturalmente possiamo chiederci se tutto ciò rappresenti una novità. Una società che si riproduce per mezzo della concorrenza dei mercati anonimi e che è amministrata da un apparato statale che si presenta agli uomini come potere burocratico senza volto, non può non contenere una tendenza alla corruzione, al nepotismo e alla formazione di bande. Questi fenomeni sono solo il rovescio delle istanze anonime del mercato e della burocrazia statale, così come il diritto borghese e la criminalità sono solo i due lati della stessa medaglia e si condizionano reciprocamente. Solo fino a un certo punto si può affermare che il crimine è il grande nemico del sistema capitalista; non appena il crimine acquisisce un certo volume, esso diventa parte accettabile della vita della “buona società”. Lo stato di diritto implica la sua trasgressione come continuazione della concorrenza con altri mezzi. E il diritto universale, imparziale ed essenzialmente formale, apre spazio per la relativizzazione logica di qualsiasi crimine: alla fine del 17esimo secolo, il famoso e famigerato Marchese De Sade trasse solo le conseguenze più estreme del liberalismo chiedendo la legalizzazione del furto (che presuppone la libertà borghese) e anche dell’omicidio. 

La legge del più forte

Nei rapporti tra i diversi Stati non si è andati ancora molto al di là della legge del più forte; in quest’area la forma socioeconomica della concorrenza si mostra in tutta la sua crudezza, ciò che non evita di condizionare gli affari politici all’interno di ogni nazione. Machiavelli già sapeva che morale e politica non hanno nulla in comune. Il requisito dell’integrità morale è solo la facciata delle relazioni di concorrenza, la cui dinamica determina il contenuto dell’attuale stato di diritto nel momento stesso in cui lo mina continuamente. In questo senso, l’intimità tra lo stato di diritto e le strutture illegali, tra l’economia anonima e pseudo-naturale e i rapporti oscuri, tra la politica e il crimine, rivelano la vera natura della società capitalista e della schizofrenia della coscienza borghese. La democrazia degli Stati Uniti, il paese più sviluppato e potenza dominante del mondo libero, manifesta con più nitidezza questa schizofrenia. In nessun altro luogo il moralismo più crudo è mobilitato politicamente con maggiore drammaticità; in nessun altro luogo la nozione di legge del più forte è tanto radicata nella coscienza delle masse; in nessun altro luogo si trovano clan familiari (come i Kennedy o i Bush) con tanto potere sulla politica e sulle istituzioni pubbliche. In nessun altro luogo dell’Occidente si osserva una rete tanto fitta di legami tra il crimine organizzato, le banche, le grandi corporazioni, i sindacati, la politica e lo show-business che a volte risale al 19esimo secolo. In Europa, solo l’Italia regge il paragone per essere la culla storica del legame mafioso tra crimine, capitalismo e politica. E’ degno di nota che questi fatti (ai quali potremmo aggiungere le organizzazioni mafiose in Giappone e in tutta l’Asia) siano praticamente spariti dal dibattito pubblico dopo la Seconda Guerra Mondiale, sotto l’impatto delle democrazie di massa. Il ritorno degli scandali mafiosi alla fine del 20esimo non cessa allora di essere l’indice di una mutazione qualitativa. 

"Italianizzazione"

Sarebbe una esagerazione pietosa supporre che la rivelazione di questi affari oscuri si debba a una maggiore maturità democratica del capitalismo o a una vigilanza più stretta da parte dei media. Nell’Italia degli anni ’80 [Mani Pulite risale in realtà al ’92; n.d.t.], la rivelazione della presenza mafiosa nel sistema politico e l’autodissoluzione dei maggiori partiti politici non ha portato alla purificazione auspicata. La corruzione ha assunto una nuova funzione, mentre si osserva una crescente “italianizzazione” delle altre democrazie. Se solo adesso tutto lo sporco viene a galla, ciò si deve allo sfacelo incipiente del diritto borghese per mano del capitalismo in crisi sociale e del gioco d’azzardo finanziario internazionale. Sotto la pressione di una concorrenza selvaggia e scatenata, tutte le dighe sociali cedono, in alto come in basso. 

D’altro lato, con la globalizzazione transnazionale del capitale, la politica democratica, considerate le sue basi nazionali, ha perso ogni capacità effettiva di regolare la vita sociale. In questo processo anche i partiti politici hanno perso la loro capacità di formazione dell’opinione e regrediscono verso un sistema di clan mafiosi, dove la leadership personale prende il posto dei processi pubblici nella presa delle decisioni. Ma questi nuovi leader, e questo vale per Kohl, Blair o Haider, non rappresentano né simboleggiano la formattazione capitalista delle relazioni sociali: come era il caso delle dittature all’inizio del 20esimo secolo sono solo “padrini”. La facciata moralista crolla con la velocità di un respiro. Nel mondo dei mercati globali, la “repubblica delle banane” diventa l’unica forma di Stato possibile e adeguata. 


lpz