sabato 6 dicembre 2014

L'abominevole speculatore finanziario



Robert Kurz

I forum sociali e i circoli della critica sociale ottengono affluenza, gli studenti sono in sciopero. La società ribolle dal momento che, sotto le indicazioni dell’Agenza 2010, le controriforme antisociali stanno provocando modifiche di fondo, raggiungendo più duramente del previsto gli individui, tra cui anche quelli della classe media. Come c’era da aspettarsi, questa dinamica sociale riaccende a sinistra e nelle organizzazioni come Attac la disputa per l’interpretazione della crisi. Questa disputa sulle cause della decadenza sociale non è nuova.   
Nel 19° secolo ci fu una critica del capitalismo specifica della piccola borghesia, la quale pretendeva di spiegare la crisi e la povertà solo con le esigenze del capitale d’interesse, o capitale finanziario. Se non ci fosse la “servitù degli interessi”, così pensava per esempio Proudhon, non ci sarebbe alcuna crisi. Questo punto di vista era quello dei piccoli proprietari, che ancora oggi, dallo snack bar al negozio di software, inclinano all’impressione di “lavorare per le banche”. Dimenticano che senza credito bancario non avrebbero potuto finanziare il loro investimento, oppure sarebbero già falliti. Essendo il capitale monetario, nella produzione capitalista, uno specifico oggetto del mercato, ha il suo prezzo. 
In modo completamente differente argomentava il marxismo classico del movimento operaio, come lo rappresentò Rudolf Hilferding nella sua opera Das Finanzkapital (Il capitale finanziario), pubblicata nel 1910. Per lui il capitale finanziario non era la fonte di tutti i mali, ma un potere progressivo da dover socializzare, sottomettendolo al controllo dello “Stato proletario”. Con questo controllo si sarebbe concretizzata a grandi linee la pratica del socialismo. Non c’è dubbio che si trattava di un approccio fortemente riduttivo. Hilferding, come tutto il marxismo del movimento operaio, non metteva in discussione il principio della valorizzazione “produttiva”, la forma sociale della “valorizzazione del valore” (Marx), ma pensava che con un controllo politico esterno da parte del “partito e dello Stato operaio” la trasformazione decisiva si sarebbe già conclusa. Tuttavia questo approccio, troncato contro Marx e mancante della riflessione sulla forma feticista del valore, era certamente diverso dall’approccio della piccola borghesia.  
Nell’ideologia spontanea dei movimenti di oggi si difende invece la versione piccolo borghese originaria della critica del capitalismo. Si considera l’economia speculativa delle bolle finanziarie a partire dagli anni ’90 la vera causa della crisi. E il capitale che rende interesse, quale presunta fonte del male, dovrebbe essere limitato allo scopo di ricondurre il denaro, del quale apparentemente “ce ne sarebbe a sufficienza”, verso gli investimenti dei capitali produttivi. Così però la relazione causa effetto è capovolta a testa in giù. In realtà la crisi è condizionata dallo stesso limite intrinseco del capitale produttivo. La forza produttiva della terza rivoluzione industriale supera la capacità della produzione capitalista, l’eccedente forza lavoro è “liberata”, i guadagni capitalisti diminuiscono, si creano eccessi di capacità che gli investimenti produttivi non compensano più. E’ solo per questa ragione che è nata l’economia del debito e delle bolle finanziarie come mero risultato della manifestazione della crisi, non come sua causa. 
Ma la coscienza attualmente dominante nei movimenti vuole criticare solo il capitale finanziario, non il modo di produzione capitalista. Questo modello di interpretazione è utilizzato anche nei sindacati e nel marxismo accademico residuo, come se tutta la teoria di Marx dell’accumulazione e della crisi fosse stata dimenticata. Ciò costituisce un arretramento perfino a prima di Hilferding. Quali ne sono le ragioni?
In primo luogo, con la caduta del socialismo statale, si è resa obsoleta l’opzione originaria del marxismo del movimento operaio di assumere, nel governo dello “Stato proletario”, il “potere progressista” del capitale finanziario. Questo ormai nessuno osa più difenderlo. In secondo luogo, la base sociale dei movimenti non è più la “classe operaia che produce plusvalore” ma un diffuso soggetto universale della valorizzazione, le cui differenti categorie sociali si fondono sempre di più, dai destinatari del reddito minimo garantito al lavoratore a tempo determinato, allo studente fuori corso e il lavoratore dell’ABM[1], fino alla malfamata Ich-AG (Eu, S.A.)[2]. In forma spontanea, il carattere sociale da qui risultante ha un carattere piccolo borghese in un certo modo secondario (ognuno è il suo stesso capitale umano, ognuno si orienta verso la propria autovalorizzazione), in cui il mezzo di produzione “autonomo” si riduce alla pelle dell’essere umano. In terzo luogo, nella nuova qualità della crisi, anche il nucleo rimanente del lavoro industriale apparentemente produttivo di capitale è rimasto dipendente dall’anticipazione del capitale finanziario sulla futura produzione di valore (super-struttura del credito, mega-debito su tutti i livelli, economia delle bolle). 
In base a queste relazioni, la dipendenza generalizzata dal capitale finanziario scollegato è sperimentata come il vero scandalo, ignorando la causa reale della crisi. Anche il marxismo accademico ormai annacquato dal keynesianismo si rende ricettivo a questa interpretazione riduttiva: la teoria keynesiana si concentra così in una pretesa soluzione endocapitalista della crisi, fissandosi sugli interessi e sul capitale finanziario. Non può essere occultato che una critica del capitalismo tanto ridotta si predispone a legarsi con le ideologie di crisi populiste di destra. In effetti è semplicemente un fatto che storicamente la critica ridotta al capitale finanziario si è arricchita sempre di più di stereotipi antisemiti. E i media borghesi già scoprono qui una possibilità di denunciare il movimento sociale come “potenzialmente antisemita”. Questa denuncia si può affrontare se il riduttivismo regressivo dell’analisi al capitalismo finanziario viene superato, esigendo nuove forme per la socializzazione e i suoi potenziali civilizzatori (servizi pubblici etc.) ormai non più suscettibili di venir rappresentati dalla valorizzazione del valore: per andare oltre Hilferding, non per tornare indietro.


1 ABM = Arbeitsbeschaffungsmassnahme; forma specifica di lavoro temporaneo per disoccupati

2 Ich-AG = forma specifica di società impersonale per disoccupati  

Originale Der hässliche Finanzinvestor. Pubblicato in Neues Deutschland, Berlino, 12.12.2003.      

Traduzione by lpz