mercoledì 29 ottobre 2014

Il senso culturale del XXI° secolo


Orientamento simbolico e nuova critica sociale  

Ci potranno ancora essere obiettivi culturali per il 21° secolo? Malgrado la crisi sociale mondiale, o forse proprio a causa sua, non si tratta più, in questo cambio di secolo, di conquistare nuovi orizzonti. E’ vero che il pozzo dei desideri senza fine della modernità continua a ricevere le sue monetine, ma pochissimi sono quelli che ancora gli danno credito. Per iniziare qualcosa di nuovo sarebbe necessario procedere a un appassionato dibattito sui progetti sociali cui si aspira. Ma le passioni sociali, politiche e culturali sembrano estinte, i discorsi dei media si trascinano stancamente. Né nella relazione sociale, né in quella con la natura sono proposte nuove sfide. L’idea di un grande “compito dell’umanità” non è solo antiquata ma anche ingenua e decisamente inappropriata.
Ciò che oggi viene lodato come nuovo e promettente non ha più un contenuto o un fine qualsiasi, ma è semplice forma, semplice mezzo, apparato spogliato di ogni spirito. Intenet ne è il migliore esempio. Quanto più rapidamente evolve la tecnologia della comunicazione, tanto meno si hanno contenuti che valga la pena trasmettere. Se il mezzo tecnologico spodesta il contenuto, la stessa “ragione strumentale” conduce all’assurdo. Nello stadio finale di questo processo, gli esseri umani equipaggiati di mezzi di comunicazione perfetti non hanno più nulla da dirsi.  
Questa illimitata assenza di contenuto e di obiettivo annuncia l’esaurimento intellettuale e culturale del sistema sociale dominante. Se l’essere umano può realizzarsi come individuo solo dentro la società, come individuo egli può coltivare solo contenuti e obiettivi sociali. L’individuo rivolto esclusivamente a sé stesso è per forza di cose vuoto, incapace di forgiare contenuti propri; i suoi progetti si perdono in banalità insignificanti. Alla fine del XX° secolo la modernità è immersa in un tedio mortale. In questo senso, nell’aspetto propriamente culturale, la microeconomia estremista, l’atomizzazione sociale e la perdita di solidarietà hanno ottenuto la loro vendetta sul capitalismo. Poiché si allontanano le une dalle altre, le monadi sociali ormai non riescono a imporre obiettivi comuni; e poiché non hanno più una relazione di contenuto tra loro, si allontano sempre più le une dalle altre. Una società incapace di sfide comuni, tuttavia, è condannata al deperimento.
Per poter formulare un obiettivo, un progetto comune, diventa urgente un "senso" culturale, un orientamento spazio-temporale della società. Questo orientamento non riposa solo nella tecnica o nell’economia, ma anche nella psiche sociale, nell’immaginario sociale, nella relazione tra i sessi e nella “voglia di vivere”, per non parlare della relazione con la storia. Chiaro: anche il capitalismo ha posseduto un tale orientamento simbolico-culturale. Ma in quanto sistema sociale che ha raggiunto i suoi limiti, ora non riesce più a intravedere alcun obiettivo e perde ogni orientamento nello spazio e nel tempo. Il dovere, propagandato senza tregua da tutti i media, di conformarsi al processo cieco del mercato mondiale, non rappresenta un obiettivo sostanziale di attiva riconfigurazione, un “progetto umano” positivo: è solo la mera identificazione meccanica con una struttura che da tempo si è fatta indipendente, che a priori converte ogni contenuto e ogni obiettivo, o progetto, allo status di indifferenza. Di qualunque cosa si tratti, non gode di alcun senso autonomo, fornisce solo materiale all’ordinario processo di valorizzazione del capitale.
Che la cosiddetta postmodernità, in questo punto decisivo, non abbia né superato la modernità, né creato nulla di nuovo è ormai dimostrato dalla mancanza di contenuto della sua stessa concezione, che rimanda a un “futuro” vuoto. La postmodernità, oltre a non fornire alcun orientamento culturale, innalza il disorientamento a virtù. Il sistema produttore di merci, pietrificato in un’accelerazione senza obiettivo, dovrebbe scampare dal suo stato di esaurimento culturale per continuare a  roteare con moto d’inerzia per l’eternità. La teoria postmoderna è, in un certo modo, la caricatura di una guida, nella misura in cui indica tutte le direzioni nello stesso momento ed è quindi priva di significato.  
E’ facile vedere che un nuovo orientamento simbolico-culturale e nuovi obiettivi sociali possono essere plasmati solo dalla critica radicale dell’ordine sociale agonizzante; e la critica radicale rappresenta proprio ciò che la postmodernità rifiuta come impensabile. Ora, la critica socialista della società, con il suo oggetto, si è esaurita perché essa stessa era, di fatto, la quintessenza del capitalismo. Il capitalismo statale dell’Est, costituendo un mero sottoprodotto del capitalismo privato dell’Occidente, ha condiviso con esso il suo immaginario culturale e il suo codice simbolico. La critica sociale del XIX° e del XX° secolo si era fermata ai confini del moderno sistema produttore di merci; era essa stessa un ramo della “ragione strumentale”,  finendo per esserne catturata e inghiottita.
Che un nuovo orientamento culturale possa essere ottenuto solo mediante una critica radicale della società vale anche inversamente: una tale critica dell’ordine dominante può essere formulata solo nel XXI° secolo per mezzo di una codificazione simbolica fondamentalmente differente della percezione dello spazio e del tempo. Chi vuole rompere il “terrore dell’economia” deve infrangere con piena coscienza anche il codice simbolico del capitalismo; la critica dell’economia può essere realizzata solo se accompagnata da una critica dell’ordine simbolico e dell’orientamento culturale inerente a questo sistema, ossia, se attira l’attenzione e le speranze in un’altra direzione e soprattutto se ribalta l’”immagine del mondo”.
Finora tale problema è stato poco discusso con la dovuta ampiezza e profondità quanto la critica delle categorie economiche; è per questa ragione che la sinistra batte di nuovo in ritirata, mentre l’esaurimento del mondo capitalista diviene sempre più esplicito.  In cosa consiste, al dunque, l’orientamento culturale ormai obsoleto del capitalismo? Il suo asse del tempo è senza dubbio una dinamica rivolta unilateralmente verso il futuro. La modernizzazione è sinonimo di svalutazione permanente del passato, della storia. "Il nuovo", la moda, lo sviluppo economico incessante, la perpetua mobilità come valore in sé prevalgono indipendentemente dalla loro qualità. La concezione moderna della storia, così come la filosofia dell’illuminismo l’ha forgiata, è definita da questo codice nel quale l’umanità appare in un certo qual modo come un razzo sparato che percorre la sua orbita in un movimento storico ascendente, meccanico. In questo turbamento, il passato emerge solo come resti carbonizzati del presente, e il presente come resti del futuro.
La presunta controparte reazionaria, vale a dire un’idealizzazione immaginaria del passato, non è che l’altra faccia della medaglia. In essa non si coglie il valore specifico delle culture passate né l’aspetto distruttivo della dinamica capitalista, ma viene solo mistificata e proiettata nel passato la relazione capitalista del dominio impersonale. E’ il proprio passato che il capitalismo idealizza nelle moderne ideologie conservatrici e reazionarie, con l’intenzione di bandire repressivamente le conseguenze catastrofiche della sua dinamica cieca e dei suoi antagonismi sociali interni. Quanto a questa idealizzazione, si tratta in realtà di un modo diverso di svalutare la storia. Pessimismo culturale reazionario e ideologia liberale progressista rappresentano i due poli culturali dello stesso ripudio capitalista della storia, del resto intercambiabili: il pensiero fascista contiene entrambi gli aspetti in eguale misura.
Nell’era postmoderna questa polarità di "progresso" e "reazione" immanente al capitalismo è collassata su sé stessa, ciò che viene festeggiato di buon grado come superamento della contrapposizione tra “sinistra” e “destra” ma che in realtà, a fianco dell’esaurimento culturale, annuncia anche l’esaurimento politico ed ideologico del capitalismo. Il "progresso" borghese è caduto in un movimento circolare, vuoto di senso, con il quale si identifica la “reazione”. La svalutazione del passato ora avviene solo in un’unica maniera, trasformando anche la storia, le culture, le idee e le relazioni passate in merci che possono essere consumate apparentemente a piacere. Tale contemporaneità allucinata, che immerge tutto lo spazio della storia umana nella luce fredda del mercato e sopprime tutte le differenze, tanto più quando si parla di “differenza”, dà alla cultura postmoderna la sconfortante immagine di scimmie che giocano in una biblioteca facendo confusione strillando sui libri.
Un nuovo orientamento della cultura legato alla critica radicale del capitalismo può consistere soltanto nel porre fine alla permanente svalutazione della storia, non nel senso di un’idealizzazione di un passato qualsiasi, né come suo consumo, ma come ricerca critica delle tracce che il capitalismo ha sistematicamente cancellato. Si tratta di scoprire la storia del disciplinamento moderno e dell’addestramento umano, della trasformazione storica della vita in materiale per gli imperativi economici, al fine di mettere in dubbio l’apparente naturalezza di questo modo di vita. Oggi, ogni manager, politico, stella del calcio, alla domanda sui suoi scivoloni e sulle relative cause, risponde sempre con la frase stereotipata: “Noi guardiamo avanti”. L’inversione di questa prospettiva sarebbe, in qualche modo, un orientamento simbolico verso una retrospettiva critica, un rifiuto della legge del moto capitalista, uno “sparare agli orologi” (Walter Benjamin).
Per conquistare un altro futuro, il passato sepolto è paradossalmente più importante del futuro vuoto. Il progresso dell’emancipazione può essere  salvato solo se il pensiero critico si emancipa dal codice simbolico della filosofia illuminista borghese, cioè da un concetto di storia che implica un orientamento futuro permanente, “automatico”, guidato dalla “mano invisibile” dell’economia. Oggi progressista è fermare il passo e voltarsi indietro, allo scopo di guardare in retrospettiva le macerie della modernità. Si tratta dunque di una nuova comprensione della storia, di un ribaltamento dell’immagine storica mondiale. La società può tornare a sé solo quando sviluppa una certa passione per un’archeologia radicalmente critica della modernità esaurita.  
Una tale inversione di prospettiva comporterebbe anche conseguenze per un orientamento psicologico. Questo perché la svolta critico-emancipatoria retrospettiva, con lo scopo di accertarsi della storia, comporta anche una mutazione nella relazione simbolico-culturale tra “interno” ed “esterno”. Nel capitalismo l’essere umano è “guidato esternamente” da criteri di prestigio e di bella apparenza, così come vengono suggeriti dalla pubblicità, , dalle confezioni, dall’”autopresentazione”. Anche qui, però, l’inversione del senso culturale non favorirebbe il rovescio reazionario della medaglia, una mistificatoria “vita intima” o una “contemplazione esoterica” atta a rifugiarsi in un immaginario “io”, al riparo delle contraddizioni sociali. Al contrario, l’”introspezione” emancipatoria consiste nel rivelare la storia rimossa e la falsa oggettivazione delle coercizioni capitaliste anche nella psiche e nel linguaggio, per mezzo di una sorta di ”archeologia interna” della modernizzazione, tanto sul piano personale quanto su quello psicosociale, al fine di rilevare il processo di “interiorizzazione” psichica di queste coercizioni. La psicoanalisi, prematuramente dichiarata morta, e la critica femminista del linguaggio offrono inesauribili possibilità per una tale ricodifica. 
Infine, non deve passare sotto silenzio anche l’orientamento nello spazio di questa radicale mutazione del paradigma simbolico-culturale. Così come temporalmente la dinamica capitalista è ciecamente orientata verso il futuro, spazialmente essa è orientata “verso l’alto”. Già agli inizi del secolo passato, il poeta futurista Marinetti desiderava che l’automobile decollasse come un razzo; e qualche decennio più tardi infatti un uomo sbarcò sulla luna. Che quest’immagine “rialzata” del capitalismo si definisca per criteri maschili già si rivela, rasentando il ridicolo, nello stesso formato del razzo quale simbolo del fallo. La direzione verso lo spazio aereo e siderale, che non a caso si fonde con tratti militari, contiene l’immagine di una sessualità maschile “svincolata” e che in un certo senso ha preso il volo.
Ma questo codice simbolico si è esaurito da molto tempo. Il viaggio nello spazio è diventato tanto monotono quanto il futuro vuoto del mercato. Sui pianeti raggiungibili si trovano solo deserti fisico-chimici. E comunque il loro sfruttamento capitalista come fonte di risorse rimane illusorio poiché i costi stratosferici del trasporto divorerebbero il possibile bottino. La tecnologia dei combustibili fossili su cui si basa il modo di produzione capitalista è troppo primitiva per un’”aurora nello spazio”. I cosmodromi Canaveral e Baikonur sono oggi rovine della virile civiltà produttrice di merci, solo che non ce se n’è ancora resi conto.
Una radicale ricodifica simbolica della relazione con lo spazio avrà lo sguardo “vero il basso” (perché non è soltanto in un senso archeologico che la nostra storia si trova sotto i nostri piedi), in vista delle sfide e delle esigenze tecnologiche della riproduzione sociale. Oltre l’interno della Terra, buona parte della superficie terrestre resta ancora inesplorata, sia nel sottosuolo che nelle profondità oceaniche. Che il dispendio di risorse e competenze qui sia minimo in confronto ai viaggi aerei e spaziali mostra la profonda dipendenza dello sviluppo tecno-scientifico dai codici simbolici obsoleti del capitalismo. Se l’essere umano è un essere culturale, dovrà cercare un nuovo orientamento culturale nello spazio, nel tempo e nella psiche; e nel secolo XXI° forse questa svolta rivoluzionerà tanto la società quanto la crisi sociale ed economica.

Originale Die Kulturelle Richtung des 21 Jahrhunderts ; pubblicato in Folha de Sao Paulo 1999/11/28


Traduzione by lpz