Robert Kurz - S.Paolo, Domenica, 14 Maggio 2000
In tutta Europa, la politica dei governi di centro-sinistra coincide con
manifestazioni neofasciste, ed è favorita la risoluzione della crisi nella
forma di una supremazia razzista
Certo, la storia non si ripete.
Ma il rimosso ritorna sempre in una nuova veste se non portato alla
coscienza e superato insieme alle sue condizioni. L’Europa, madre della
modernità capitalista, ha anche dato vita al fascismo e, con la versione tedesca
del nazional-socialismo, ha inaugurato i crimini contro l’umanità. Nei
documenti ufficiali questi crimini sono stati scomunicati dalla tradizione
europea dell’illuminismo, del liberalismo e della democrazia. Ma i fascisti non
sono nati sotto un’altra stella; il loro pensiero sanguinario è radicato nelle
stessa modernità europea. Tutti gli elementi della dittatura nazista si ritrovano
dispersi in paesi, epoche, istituzioni e idee della storia della
modernizzazione: dai penitenziari con i lavori forzati del precapitalismo, al
razzismo e all’antisemitismo latenti o manifesti della filosofia illuminista,
dalle fantasie di sterminio di Sade e di Malthus, il “teorico della
demografia”, al darwinismo sociale di impronta democratica del 19° secolo. I
crimini nazisti furono singolari; ma questa singolarità consistette appunto nel
concentrare al massimo grado e nel portare agli estremi tutti quegli elementi
di repressione, costrizione, esclusione e irrazionalità, tali a quelli che, in
un modo o nell’altro, accompagnarono dal principio la storia dell’espansione
europea. L’incubo vissuto dall’Europa tra il 1933 e il 1945 parve non lasciare
altra scelta: mai più fascismo! Tuttavia, poiché le basi sociali di questo
incubo rimasero completamente inalterate, le stesse radici del terrore fascista
non sono state messe da parte. Nell’effimera epoca del “miracolo economico”,
dopo la Seconda Guerra Mondiale, i demoni scomparvero sottoterra, ma con la
crisi socioeconomica della terza rivoluzione industriale sono riapparsi. Dagli
anni ’80, la nuova disoccupazione strutturale di massa è accompagnata
dall’ascesa di ideologie neofasciste e sentimenti razzisti. Il potenziale
intimidatorio di cui si sono arricchite le società europee nella crisi
strutturale alla fine del 20° secolo si scaricano nelle successive ondate di un
“radicalismo di destra” largamente diffuso, che ancora non ha assunto contorni
nitidi. Non sono solo (e non sono nemmeno molti) i socialmente impoveriti quelli
in cui si manifesta il potenziale neofascista. Il timore diffuso che incombe su
tutta la società si tramuta in un’aggressione selvaggia esattamente in quei
settori popolari che ancora non sono stati esclusi. Da un alto, è il timore di
un incerto futuro che costituisce questa coscienza. Dall’altro, l’aggravamento
drammatico e la ferocia della concorrenza suscitano un nuovo “dispotismo” del
mercato. Voler a tutti i costi far parte dei vincitori, che notoriamente "sono
tutto", o almeno simularne il tipo di successo.
Gioventù abbrutita
E consta dell’abitudine della
superiorità arrogante far posto a una crudeltà razzista e socialdarwinista, o
addirittura metterla in pratica. Non di rado sono giovani in gruppo, con
automobile e cellulare, che dopo la discoteca si aggregano in bande neofasciste
per dare caccia agli stranieri, persone di colore o disabili. Tali fenomeni di
negligenza morale esistono in tutti i continenti; ma in Europa si riferiscono a
una ricaduta nel terrore specificamente fascista. Da Mosca a Madrid, ma soprattutto
in Germania, la croce uncinata e le rune delle SS sono diventate i simboli
provocatori prediletti da una sottocultura giovanile abbrutita. L’energia
neofascista si insinua in fondo ai meandri della società, benché questa
“continuazione della concorrenza con altri mezzi” ancora si nasconda sotto la
facciata del benessere borghese di funzionari pubblici, avvocati, medici,
lavoratori qualificati, ingegneri etc. Ma le violenze e le uccisioni delle
bande dei giovani neofascisti sono accolte con clemenza visibilmente "comprensiva"
(presumibilmente per ragioni sociali), su cui la vecchia cultura di protesta
della gioventù “radicale di sinistra” non poté mai contare. Questa combinazione
dissimulata tra "centro" e "destra" si mostra con
particolare virulenza nelle generazioni sopra i 60 e sotto i 30, in quanto la
generazione di mezzo, che è cresciuta durante il “miracolo economico” ed è
stata impregnata dal movimento del ’68, predica ideali democratici in forma un
po’ untuosa, senza tuttavia essere capace di offrire il minimo espediente
contro il precipitare della crisi.
Fascismo pop-culturale
In un certo senso, si tratta di
un’unione tra il nonno fascista, che non ha mai abbandonato la sua triste
ideologia, e il nipote neofascista, che, in una specie di versione
pop-culturale, ricade nella stessa ideologia. La nuova coscienza fascista di
massa possiede anche un lato sessuale: essa è sostenuta da relativamente poche
donne – la maggioranza sono uomini, siano essi vecchi crudeli o giovani
dall’intelletto danneggiato. Non ha tardato questa costellazione sociale a sedimentarsi
anche in termini politici. Il ruolo della politica in seguito alla dinamica
economica nella terza rivoluzione industriale è obiettivamente decresciuto, è
vero, ma per i più, almeno per ora, la forma del partito politico e la relativa
“attitudine elettorale” restano come l’unica possibilità di esprimere le loro
opinioni e dar nome alla propria elaborazione ideologica della crisi. Di
conseguenza dall’inizio degli anni ’80 la terza rivoluzione industriale è
stata accompagnata in tutta Europa dall’ascesa di partiti “populisti di destra”
o neofascisti che nel frattempo hanno guadagnato un considerevole peso
parlamentare. Lentamente ma inesorabilmente i tradizionali partiti
moderati conservatori del dopoguerra rompono con le loro ali destre e
perdono la loro forza di integrare i demoni fascisti nella coscienza di massa. Ma
questo processo non è imposto alla democrazia dall’esterno, piuttosto si
alimenta delle contraddizioni interne dello stesso mondo democratico. E’ stato
in Italia che il blocco della democrazia ufficiale ha ceduto il passo, per la
prima volta, al ritorno neofascista da essa stesso generato. Dopo decenni di
dominio conservatore della “Democrazia Cristiana”, la corruzione spudorata e la collusione della classe politica
con la mafia hanno assunto proporzioni tali che il conservatorismo italiano si
è dissolto vertiginosamente. La sua spoliazione è stato assorbita dal
sincretico partito di destra di Berlusconi, il magnate dei media, dai populisti
di destra di Bossi, il leader separatista del nord Italia, dai neofascisti avidi
di potere. Ma il processo di erosione dei partiti conservatori si è aggravato
anche in Inghilterra, Germania e Francia. La “resa della guardia” è parsa
all’inizio dare un vantaggio politico alla “sinistra”. In luogo dei regimi
conservatori, corrosi dagli scandali, sono sorti governi prevalentemente di
centro-sinistra; questa tendenza è stata seguita anche in Italia.
Mutazione delle sinistre
Per gli ignari osservatori, si
apriva insperatamente l’”era socialdemocratica”. La verità però è ben diversa.
Questo perché l’erosione del conservatorismo è stato accompagnato da una
mutazione delle sinistre statali. Così come la dottrina economica neoliberale è
diventata trasversale a tutti i partiti, in una specie di meticciamento con le
loro ideologie originarie (da tempo sbiadite), così anche un soffio delle
ideologie e degli umori neofascisti è spazzato nell’ambiente partitico; e in
questo la “nuova socialdemocrazia” di Blair o di Schroeder rappresenta ben poco
un’eccezione quanto i comunisti francesi o i diversi partiti verdi del
movimento ecologista.
Questo carattere neofascista di
tutta la classe politica può essere definito come “nazionalismo interno” e, per
quanto riguarda l’Unione Europea, come politica della “Fortezza Europa”. Nelle
condizioni della globalizzazione si è del tutto perso il senso di un
espansionismo politico aggressivo.
La stessa spinta neofascista non
consiste più in un nazionalismo conquistatore orientato all’esterno, ma in un
nazionalismo escludente orientato all’interno, che si allea alla concorrenza
senza barriere nel mercato mondiale. E’ così che i vari milioni di lavoratori immigrati provenienti dalla Turchia, dal nord Africa etc. e i rifugiati dalle
regioni al collasso nell’est Europa diventano il bersaglio rituale dell’odio
dei neofascisti. I partiti democratici, guidati dagli indici di opinione
pubblica, condannano i “pogrom” più atroci con parole vuote, ma guardano il
potenziale elettorale di questo razzismo "implosivo". Esimendosi
dalla responsabilità sociale, lo Stato nello stesso tempo fa concessioni
all’atmosfera "xenofoba". Tra i governi socialdemocratici retti dal
cosiddetto “nuovo centro” questa tendenza si è ancor di più acuita. Battute di
polizia nei centri “illegali” e minacce di rimpatrio si trovano più che mai
all’ordine del giorno. L’attuale ministro degli interni del governo
socialdemocratico tedesco studia una drastica riduzione del diritto di asilo,
benché proprio la Germania, in ragione della sua storia, avrebbe tutti i motivi
per essere in questo punto più aperta di qualsiasi altro paese.
Politica di adattamento
Lo stesso "ius
sanguinis", che dal 1913 definisce la cittadinanza secondo criteri dei
“ascendenza”, è stato modificato solo superficialmente durante il mandato di
Schroeder, ma non revocato alcun atto qualificato di “compromesso democratico”
con la destra razzista. In tutta Europa, la politica dei governi di centro-sinistra
coincide nei punti decisivi con le manifestazioni sorde della sindrome
neofascista. Di proposito è favorita la risoluzione della crisi strutturale
della società nella forma di una supremazia razzista e socialdarwinista, così
che nessun movimento emancipatorio extraparlamentare possa nascere. Ufficialmente
questa politica di adattamento all’atmosfera neofascista è giustificata dal
fatto che si vuole solo evitare il peggio e “placare” l’aggressività razzista;
ma è proprio così che i demoni si inorgogliscono, assetati di sangue, prossimi a uscire fuori dal controllo. Un
risultato sociale del genere si è avuto in Austria, dove i conservatori hanno
formato una coalizione con il partito apertamente razzista e antisemita del
populista di destra Joerg Haider. Si è rotto così un tabù nelle democrazie
europee del dopoguerra. La sindrome Haider è più pericolosa delle altre
tendenze neofasciste - e per diverse ragioni. Paradossalmente, il potenziale
intimidatorio è tanto maggiore in Austria per il fatto stesso che lì la crisi è
ancora trattenuta e la disoccupazione è rimasta relativamente bassa. La grande coalizione decennale di socialisti e
conservatori non ha solo generato una "avarocrazia" corrotta, ma ha
anche circondato il capitalismo austriaco con una cappa nazionalista contro la
globalizzazione: le grandi banche e le industrie siderurgiche e petrolifere sono
a maggioranza di proprietà dello Stato e sono sovvenzionate – e anche negli altri settori la partecipazione statale
è la maggiore fra tutti i paesi dell’Unione Europea. In compenso, l’Austria
detiene il maggior deficit di tutta l’unione monetaria. Queste relazioni sono strutturalmente
analoghe ai paesi socialisti dell’est prima del collasso degli anni ’80. Così
tutti sanno, o presumono, che sia imminente la “svolta” in Austria, e che le
vittime di privatizzazioni e fusioni
rimangono appese a un filo. Il partito di Haider serve da catalizzatore della
crisi perché, al contrario della maggior parte degli altri partiti della destra
radicale in Europa, non è economicamente retrogrado. Almeno il Fronte Nazionale
francese e i diversi neonazisti tedeschi difendono, sotto l’influsso della
crisi, vecchi programmi economico-statali arricchiti di slogan nazionalisti; in
fondo a somiglianza, ironicamente, dell’opposizione di sinistra, senza teoria
né programma, nel debole riciclaggio di idee keynesiane. Il partito della Libertà
di Joerg Haider, a sua volta, è una mutazione del liberalismo austriaco e
sostiene il programma economico neoliberale. Alcuni aspetti di questo
orientamento si trovano anche in Berlusconi; ma la specificità del partito di
Haider è l’unione di un severo radicalismo di mercato con un razzismo aperto,
dai toni antisemiti.
Liberare gli istinti
A differenza delle dittature
fasciste tra le due guerre, non si tratta più di modellare un corsetto
economico-statale a beneficio di una politica esterna aggressiva e imperialista
ma, al contrario, di conferire alla sua rovina interna un corso ugualmente
aggressivo. Haider lo afferma a chiare lettere alla coscienza delle masse: le vostre
vecchie garanzie sociali devono essere sacrificate alla globalizzazione, ma in
cambio voi potete liberare gli istinti più bassi contro l’”altro” nei vostri
pressi. Neoliberalismo e neofascismo si fondono qui in una perfetta identità.
Il boicottaggio degli Stati dell’Unione
Europea contro la partecipazione nel governo del partito di Haider non è di principio
sostanzialmente diverso, poiché gli stessi aspetti del programma di Haider si
incontrano in Blair, Schroeder, Jospin e compagnia. Il clamore improvviso
dipende semmai dal fatto che Haider mette in evidenza il loro stesso “programma
segreto” rendendo diretta la collusione, finora indiretta, tra globalizzazione
e persecuzione etnico-nazionalista, tra l’economicismo neoliberale e il razzismo
della destra.
Ma mentre la classe politica dell’Unione
Europea teme nel “fenomeno Haider” la scintilla di un processo incontrollabile,
la maggior parte della stampa economica liberale fa finta di non vedere e
inventa battute sul boicottaggio indeciso e meramente protocollare contro il
governo austriaco, scommettendo che la squadra di Haider implementerà le “necessarie
riforme socio-economiche”. In definitiva, le democrazie dovranno capitolare ai
demoni che esse stesse hanno alimentato. L’Europa si copre di tenebre, perché
la cieca economia di mercato non riesce a imparare nulla dalla storia