mercoledì 17 settembre 2014

La sindrome neofascista della Fortezza Europa


Robert Kurz - S.Paolo, Domenica, 14 Maggio 2000


In tutta Europa, la politica dei governi di centro-sinistra coincide con manifestazioni neofasciste, ed è favorita la risoluzione della crisi nella forma di una supremazia razzista

Certo, la storia non si ripete. Ma il rimosso ritorna sempre in una nuova veste se non portato alla coscienza e superato insieme alle sue condizioni. L’Europa, madre della modernità capitalista, ha anche dato vita al fascismo e, con la versione tedesca del nazional-socialismo, ha inaugurato i crimini contro l’umanità. Nei documenti ufficiali questi crimini sono stati scomunicati dalla tradizione europea dell’illuminismo, del liberalismo e della democrazia. Ma i fascisti non sono nati sotto un’altra stella; il loro pensiero sanguinario è radicato nelle stessa modernità europea. Tutti gli elementi della dittatura nazista si ritrovano dispersi in paesi, epoche, istituzioni e idee della storia della modernizzazione: dai penitenziari con i lavori forzati del precapitalismo, al razzismo e all’antisemitismo latenti o manifesti della filosofia illuminista, dalle fantasie di sterminio di Sade e di Malthus, il “teorico della demografia”, al darwinismo sociale di impronta democratica del 19° secolo. I crimini nazisti furono singolari; ma questa singolarità consistette appunto nel concentrare al massimo grado e nel portare agli estremi tutti quegli elementi di repressione, costrizione, esclusione e irrazionalità, tali a quelli che, in un modo o nell’altro, accompagnarono dal principio la storia dell’espansione europea. L’incubo vissuto dall’Europa tra il 1933 e il 1945 parve non lasciare altra scelta: mai più fascismo! Tuttavia, poiché le basi sociali di questo incubo rimasero completamente inalterate, le stesse radici del terrore fascista non sono state messe da parte. Nell’effimera epoca del “miracolo economico”, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i demoni scomparvero sottoterra, ma con la crisi socioeconomica della terza rivoluzione industriale sono riapparsi. Dagli anni ’80, la nuova disoccupazione strutturale di massa è accompagnata dall’ascesa di ideologie neofasciste e sentimenti razzisti. Il potenziale intimidatorio di cui si sono arricchite le società europee nella crisi strutturale alla fine del 20° secolo si scaricano nelle successive ondate di un “radicalismo di destra” largamente diffuso, che ancora non ha assunto contorni nitidi. Non sono solo (e non sono nemmeno molti) i socialmente impoveriti quelli in cui si manifesta il potenziale neofascista. Il timore diffuso che incombe su tutta la società si tramuta in un’aggressione selvaggia esattamente in quei settori popolari che ancora non sono stati esclusi. Da un alto, è il timore di un incerto futuro che costituisce questa coscienza. Dall’altro, l’aggravamento drammatico e la ferocia della concorrenza suscitano un nuovo “dispotismo” del mercato. Voler a tutti i costi far parte dei vincitori, che notoriamente "sono tutto", o almeno simularne il tipo di successo.
Gioventù abbrutita
E consta dell’abitudine della superiorità arrogante far posto a una crudeltà razzista e socialdarwinista, o addirittura metterla in pratica. Non di rado sono giovani in gruppo, con automobile e cellulare, che dopo la discoteca si aggregano in bande neofasciste per dare caccia agli stranieri, persone di colore o disabili. Tali fenomeni di negligenza morale esistono in tutti i continenti; ma in Europa si riferiscono a una ricaduta nel terrore specificamente fascista. Da Mosca a Madrid, ma soprattutto in Germania, la croce uncinata e le rune delle SS sono diventate i simboli provocatori prediletti da una sottocultura giovanile abbrutita. L’energia neofascista si insinua in fondo ai meandri della società, benché questa “continuazione della concorrenza con altri mezzi” ancora si nasconda sotto la facciata del benessere borghese di funzionari pubblici, avvocati, medici, lavoratori qualificati, ingegneri etc. Ma le violenze e le uccisioni delle bande dei giovani neofascisti sono accolte con clemenza visibilmente "comprensiva" (presumibilmente per ragioni sociali), su cui la vecchia cultura di protesta della gioventù “radicale di sinistra” non poté mai contare. Questa combinazione dissimulata tra "centro" e "destra" si mostra con particolare virulenza nelle generazioni sopra i 60 e sotto i 30, in quanto la generazione di mezzo, che è cresciuta durante il “miracolo economico” ed è stata impregnata dal movimento del ’68, predica ideali democratici in forma un po’ untuosa, senza tuttavia essere capace di offrire il minimo espediente contro il precipitare della crisi.
Fascismo pop-culturale
In un certo senso, si tratta di un’unione tra il nonno fascista, che non ha mai abbandonato la sua triste ideologia, e il nipote neofascista, che, in una specie di versione pop-culturale, ricade nella stessa ideologia. La nuova coscienza fascista di massa possiede anche un lato sessuale: essa è sostenuta da relativamente poche donne – la maggioranza sono uomini, siano essi vecchi crudeli o giovani dall’intelletto danneggiato. Non ha tardato questa costellazione sociale a sedimentarsi anche in termini politici. Il ruolo della politica in seguito alla dinamica economica nella terza rivoluzione industriale è obiettivamente decresciuto, è vero, ma per i più, almeno per ora, la forma del partito politico e la relativa “attitudine elettorale” restano come l’unica possibilità di esprimere le loro opinioni e dar nome alla propria elaborazione ideologica della crisi. Di conseguenza dall’inizio degli anni ’80 la terza rivoluzione industriale è stata accompagnata in tutta Europa dall’ascesa di partiti “populisti di destra” o neofascisti che nel frattempo hanno guadagnato un considerevole peso parlamentare. Lentamente ma inesorabilmente i tradizionali partiti moderati conservatori del dopoguerra rompono con le loro ali destre e perdono la loro forza di integrare i demoni fascisti nella coscienza di massa. Ma questo processo non è imposto alla democrazia dall’esterno, piuttosto si alimenta delle contraddizioni interne dello stesso mondo democratico. E’ stato in Italia che il blocco della democrazia ufficiale ha ceduto il passo, per la prima volta, al ritorno neofascista da essa stesso generato. Dopo decenni di dominio conservatore della “Democrazia Cristiana”, la corruzione spudorata e la collusione della classe politica con la mafia hanno assunto proporzioni tali che il conservatorismo italiano si è dissolto vertiginosamente. La sua spoliazione è stato assorbita dal sincretico partito di destra di Berlusconi, il magnate dei media, dai populisti di destra di Bossi, il leader separatista del nord Italia, dai neofascisti avidi di potere. Ma il processo di erosione dei partiti conservatori si è aggravato anche in Inghilterra, Germania e Francia. La “resa della guardia” è parsa all’inizio dare un vantaggio politico alla “sinistra”. In luogo dei regimi conservatori, corrosi dagli scandali, sono sorti governi prevalentemente di centro-sinistra; questa tendenza è stata seguita anche in Italia.
Mutazione delle sinistre
Per gli ignari osservatori, si apriva insperatamente l’”era socialdemocratica”. La verità però è ben diversa. Questo perché l’erosione del conservatorismo è stato accompagnato da una mutazione delle sinistre statali. Così come la dottrina economica neoliberale è diventata trasversale a tutti i partiti, in una specie di meticciamento con le loro ideologie originarie (da tempo sbiadite), così anche un soffio delle ideologie e degli umori neofascisti è spazzato nell’ambiente partitico; e in questo la “nuova socialdemocrazia” di Blair o di Schroeder rappresenta ben poco un’eccezione quanto i comunisti francesi o i diversi partiti verdi del movimento ecologista.
Questo carattere neofascista di tutta la classe politica può essere definito come “nazionalismo interno” e, per quanto riguarda l’Unione Europea, come politica della “Fortezza Europa”. Nelle condizioni della globalizzazione si è del tutto perso il senso di un espansionismo politico aggressivo.
La stessa spinta neofascista non consiste più in un nazionalismo conquistatore orientato all’esterno, ma in un nazionalismo escludente orientato all’interno, che si allea alla concorrenza senza barriere nel mercato mondiale. E’ così che i vari milioni di lavoratori immigrati provenienti dalla Turchia, dal nord Africa etc. e i rifugiati dalle regioni al collasso nell’est Europa diventano il bersaglio rituale dell’odio dei neofascisti. I partiti democratici, guidati dagli indici di opinione pubblica, condannano i “pogrom” più atroci con parole vuote, ma guardano il potenziale elettorale di questo razzismo "implosivo". Esimendosi dalla responsabilità sociale, lo Stato nello stesso tempo fa concessioni all’atmosfera "xenofoba". Tra i governi socialdemocratici retti dal cosiddetto “nuovo centro” questa tendenza si è ancor di più acuita. Battute di polizia nei centri “illegali” e minacce di rimpatrio si trovano più che mai all’ordine del giorno. L’attuale ministro degli interni del governo socialdemocratico tedesco studia una drastica riduzione del diritto di asilo, benché proprio la Germania, in ragione della sua storia, avrebbe tutti i motivi per essere in questo punto più aperta di qualsiasi altro paese.
Politica di adattamento
Lo stesso "ius sanguinis", che dal 1913 definisce la cittadinanza secondo criteri dei “ascendenza”, è stato modificato solo superficialmente durante il mandato di Schroeder, ma non revocato alcun atto qualificato di “compromesso democratico” con la destra razzista. In tutta Europa, la politica dei governi di centro-sinistra coincide nei punti decisivi con le manifestazioni sorde della sindrome neofascista. Di proposito è favorita la risoluzione della crisi strutturale della società nella forma di una supremazia razzista e socialdarwinista, così che nessun movimento emancipatorio extraparlamentare possa nascere. Ufficialmente questa politica di adattamento all’atmosfera neofascista è giustificata dal fatto che si vuole solo evitare il peggio e “placare” l’aggressività razzista; ma è proprio così che i demoni si inorgogliscono, assetati di sangue, prossimi a uscire fuori dal controllo. Un risultato sociale del genere si è avuto in Austria, dove i conservatori hanno formato una coalizione con il partito apertamente razzista e antisemita del populista di destra Joerg Haider. Si è rotto così un tabù nelle democrazie europee del dopoguerra. La sindrome Haider è più pericolosa delle altre tendenze neofasciste - e per diverse ragioni. Paradossalmente, il potenziale intimidatorio è tanto maggiore in Austria per il fatto stesso che lì la crisi è ancora trattenuta e la disoccupazione è rimasta relativamente bassa. La grande coalizione decennale di socialisti e conservatori non ha solo generato una "avarocrazia" corrotta, ma ha anche circondato il capitalismo austriaco con una cappa nazionalista contro la globalizzazione: le grandi banche e le industrie siderurgiche e petrolifere sono a maggioranza di proprietà dello Stato e sono sovvenzionate – e anche  negli altri settori la partecipazione statale è la maggiore fra tutti i paesi dell’Unione Europea. In compenso, l’Austria detiene il maggior deficit di tutta l’unione monetaria. Queste relazioni sono strutturalmente analoghe ai paesi socialisti dell’est prima del collasso degli anni ’80. Così tutti sanno, o presumono, che sia imminente la “svolta” in Austria, e che le vittime di privatizzazioni e fusioni  rimangono appese a un filo. Il partito di Haider serve da catalizzatore della crisi perché, al contrario della maggior parte degli altri partiti della destra radicale in Europa, non è economicamente retrogrado. Almeno il Fronte Nazionale francese e i diversi neonazisti tedeschi difendono, sotto l’influsso della crisi, vecchi programmi economico-statali arricchiti di slogan nazionalisti; in fondo a somiglianza, ironicamente, dell’opposizione di sinistra, senza teoria né programma, nel debole riciclaggio di idee keynesiane. Il partito della Libertà di Joerg Haider, a sua volta, è una mutazione del liberalismo austriaco e sostiene il programma economico neoliberale. Alcuni aspetti di questo orientamento si trovano anche in Berlusconi; ma la specificità del partito di Haider è l’unione di un severo radicalismo di mercato con un razzismo aperto, dai toni antisemiti.
Liberare gli istinti
A differenza delle dittature fasciste tra le due guerre, non si tratta più di modellare un corsetto economico-statale a beneficio di una politica esterna aggressiva e imperialista ma, al contrario, di conferire alla sua rovina interna un corso ugualmente aggressivo. Haider lo afferma a chiare lettere alla coscienza delle masse: le vostre vecchie garanzie sociali devono essere sacrificate alla globalizzazione, ma in cambio voi potete liberare gli istinti più bassi contro l’”altro” nei vostri pressi. Neoliberalismo e neofascismo si fondono qui in una perfetta identità.
Il boicottaggio degli Stati dell’Unione Europea contro la partecipazione nel governo del partito di Haider non è di principio sostanzialmente diverso, poiché gli stessi aspetti del programma di Haider si incontrano in Blair, Schroeder, Jospin e compagnia. Il clamore improvviso dipende semmai dal fatto che Haider mette in evidenza il loro stesso “programma segreto” rendendo diretta la collusione, finora indiretta, tra globalizzazione e persecuzione etnico-nazionalista, tra l’economicismo neoliberale e il razzismo della destra.
Ma mentre la classe politica dell’Unione Europea teme nel “fenomeno Haider” la scintilla di un processo incontrollabile, la maggior parte della stampa economica liberale fa finta di non vedere e inventa battute sul boicottaggio indeciso e meramente protocollare contro il governo austriaco, scommettendo che la squadra di Haider implementerà le “necessarie riforme socio-economiche”. In definitiva, le democrazie dovranno capitolare ai demoni che esse stesse hanno alimentato. L’Europa si copre di tenebre, perché la cieca economia di mercato non riesce a imparare nulla dalla storia
 trad. by lpz

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