venerdì 16 maggio 2014

L’addio al valore d’uso


Robert Kurz
Quanto noi lo amiamo, il valore d’uso! E’ sempre stata la categoria prediletta dalla sinistra nella critica dell’economia politica. Per il marxismo tradizionale, che si è ingannato con una versione positivista della teoria marxiana, si tratta effettivamente di una definizione positiva, ontologica in tutto l’apparato concettuale de “Il Capitale”. Critica e rivoluzione sociale devono avvenire sul piano di queste categorie, per regolarle in modo più razionale e filantropico, invece di eliminarle. Ciononostante rimaneva sempre qualcosa di sospetto inerente al concetto di valore di scambio. Solo il valore d’uso pareva essere in uno stato d’innocenza storica. L’"orientamento al valore d’uso” era così la formula magica per poter passare di contrabbando un motivo trascendente, malgrado l’accettazione della produzione di merci. E non ha proprio Marx dichiarato il valore d’uso come condizione sovrastorica nel processo di “metabolismo con la natura”?
Può essere. Ma, a tal proposito, si deve portare la volontà critica di Marx oltre la lettera della sua teoria. Se i concetti nella critica dell’economia politica devono essere compresi come negativi, critici, lo stesso vale per il valore d’uso. Esso non descrive semplicemente l’”utilità”, ma l’utilità sotto i dettami del moderno sistema produttore di merci. Il che non era così chiaro per Marx nel secolo XIX. Pane e vino, libri e scarpe, edilizia e assistenza sanitaria sembravano essere le stesse cose, fossero o meno prodotte in forma capitalista. Questo è cambiato completamente. Gli alimenti vengono coltivati secondo gli standard dell'imballaggio; i prodotti sono dotati di un’”usura artificiale”, cosicché presto se ne debba comprare altri; il trattamento dei pazienti obbedisce a criteri economico-aziendali, come le automobili nelle stazioni di servizio. Il dibattito sulle conseguenze distruttive del trasporto individuale e sulla predatoria espansione urbana, da decenni, si trascina senza alcun risultato.
Chiaramente, l’"utilità" diventa sempre più dubbia. Cosa ha a che fare coi vecchi ethos e pathos del valore d’uso il fatto che si possa vedere scorrere un film su un raffinato schermo high tech della dimensione di un francobollo? Con il progressivo sviluppo capitalistico si vede che la stessa categoria di valore d’uso è una categoria negativa nel sistema di produzione di merci. Non si tratta dell’opposto sensibile e qualitativo al valore di scambio, ma del modo in cui le stesse qualità sensibili sono adattate al valore di scambio. E’ la categoria “valore” che unisce entrambi i lati, l’”uso” e la forma sociale astratta.
Più precisamente, si tratta di una riduzione dello stesso concetto di “utilità”. Il punto di partenza è il valore d’uso della merce forza-lavoro. Com’è noto,  per essa non si tratta di produrre cose concretamente utili, ma di produrre plusvalore. Pertanto, il valore d’uso è già completamente degradato in funzione del valore di scambio. E questo specifico valore d’uso della merce forza-lavoro influenza in maniera crescente tutte le altre merci. Ciò si vede tanto più chiaramente nelle cose, quanto più esse sono al dunque meri prodotti di scarto della valorizzazione del capitale. Al livello di contenuto materiale, rimane soltanto il semplice “funzionare”. La mina anti-uomo deve scoppiare senza difetti, questa è la sua “utilità”. Al capitalismo non riguarda il “cosa”, la qualità del contenuto in quanto tale, ma solo il “come”. Un’”utilità” in tale modo unidimensionale deve diventare distruttiva. Qui non si tratta di sottigliezze teoriche ma della nostra vita pratica di tutti i giorni. Una critica del capitalismo nuova, più penetrante, ormai non può comportarsi ingenuamente di fronte al valore d’uso.

Kurz - 20/05/2004

traduzione by lpz