giovedì 29 maggio 2014

Il buco nero dell'economia mondiale


Robert Kurz
(1997)

L’astrofisica conosce il fenomeno dei "buchi neri" che possono risucchiare la materia e farla scomparire. Un fenomeno analogo lo si riscontra nell’odierna economia mondiale: vista la carenza di potere di acquisto reale che viene strangolato dalla disoccupazione di massa e dalla pressione sui salari, la crescita capitalistica viene simulata grazie all’espansione del sistema creditizio; la produzione aggiuntiva finisce col precipitare nel "buco nero" di una irreale anticipazione sulle rendite future. Questa connessione strutturale si rivela anche al livello dei rapporti politico–economici tra le nazioni. Nel centro si trova l’economia degli Stati Uniti, abitualmente considerati la roccaforte del neoliberalismo "monetarista". Questa dottrina afferma che la libera economia di mercato dovrebbe sostituire il "deficit spending" statale di stampo keynesiano, anche nel settore finanziario, perché suscettibile di causare inflazione. Ironicamente tuttavia la pura dottrina si è realizzata in forma del tutto opposta attraverso la politica economica americana. Quando il presidente Reagan negli anni ’80 inflisse un colpo mortale all’Unione Sovietica nella corsa agli armamenti lo poté fare solo a costo di un escalation del debito statale fino a dimensioni sino ad allora mai viste. Da quel momento in effetti l’ultima superpotenza ha messo in atto un colossale keynesianismo militare che, a causa della bassissima quota di risparmio degli americani, può essere finanziato solo attraverso un indebitamento permanente con l’estero destinato ad accrescersi sempre più

Mentre tutti gli altri paesi devono guadagnare valuta estera mediante l’incremento delle esportazioni, gli USA si indebitano con l’estero semplicemente attraverso crediti nella loro moneta: il dollaro ha sempre la funzione di "denaro globale". Questa funzione non si fonda più come nei primi anni del dopoguerra sulla preminenza americana nell’esportazione internazionale di denaro e merci. Invece, dopo che la convertibilità aurea venne liquidata nel 1973, è la macchina militare degli USA ad essere divenuta l’oro del dollaro. Al posto della sostanza economica è subentrata la forza d’attacco militare.

Il paradossale indebitamento esterno degli States nella propria valuta funge contemporaneamente da forza motrice dell’economia mondiale poiché essi indirizzano ad un doppio uso il capitale imprestato loro dall’estero: da una parte finanziano il loro onnipresente apparato militare e dall’altra lo stesso denaro serve per potere importare anno dopo anno una massa di merci sempre più grande di quella che viene esportata. In altre parole: il controvalore per i titoli di credito con cui gli USA pagano le loro gigantesche eccedenze nelle importazioni è già stato consumato da tempo e naviga sugli oceani sotto forma di portaerei o viene lanciato nello spazio interplanetario.

In questo modo gli USA sono diventati il maggiore "buco nero" dell’economia mondiale. Essi risucchiano capitale monetario e flussi di merci dal mondo intero, tuttavia non pagano di fatto né l'uno né gli altri.

Perciò la congiuntura mondiale deriva dalla floridezza apparente di questa "economia voodoo". Mentre il consumo pachidermico negli USA esaurisce una grossa fetta delle risorse mondiali, di converso si accumula nei paesi di origine delle eccedenze (specialmente in Giappone e nelle cosiddette "tigri asiatiche", ma anche in Germania) una montagna di titoli senza valore.

Perciò è maturata una situazione in cui si arriverà ad una grande "resa dei conti" tra le economie chiave del Giappone e degli States. O il Giappone permetterà il crollo del suo sistema finanziario in una sorta di harakiri come ci hanno illustrato poco tempo fa i singhiozzanti manager della Yamaichi davanti alle telecamere di tutto il mondo. Oppure i giapponesi ritireranno dagli USA il capitale che vi hanno investito. In entrambi i casi la pseudo–congiuntura globale verrebbe soffocata con la minaccia di una depressione mondiale.

Di fatto ci sarebbe solo un metodo per arrestare la valanga che sopraggiunge: gli Stati dell’OCDE e le loro banche centrali dovrebbero compiere una svolta di 180° e convertirsi dal monetarismo neoliberale ad un nuovo iperkeynesismo politico–finanziario. I primi passi in questa direzione sono già visibili.

Il FMI, che è finanziato dalle casse degli stati membri, ha deciso un aumento delle sue quote del 45% su 490 miliardi di marchi. Ed il governo giapponese ha assicurato che il crollo del sistema finanziario sarà evitato con l’ausilio di fondi statali. Detto chiaramente: la tanto decantata "autonomia delle forze di mercato" non ha più nessunissimo significato.

Ma già ora la somma complessiva degli aiuti necessari è superiore a quella che il FMI ha a disposizione. Agli ultra–indebitati governi dei paesi OCDE non resterebbe altro da fare che incrementare la creazione di denaro da parte delle banche centrali. Questo però equivarrebbe ad ammettere che la logica del "deficit spending" non è mai stata superata ma al contrario caratterizza sempre di nuovo l’economia mondiale dietro la facciata monetarista. Allora quando lo spettro dell’inflazione farà il suo ritorno l’umanità dovrà finalmente porsi la questione riguardo la sua capacità di intraprendere qualcosa di meglio con le forze produttive della terza rivoluzione industriale invece di sacrificarle allo scopo autoreferenziale dell’accumulazione di capitale.