lunedì 10 marzo 2014

Antisemitismo e nazionalsocialismo




Moishe Postone (1986)


Qual è la relazione tra antisemitismo e nazionalsocialismo? Nella Germania Federale, a livello pubblico, il dibattito riguardo a questa problematica ha assunto il carattere di una dicotomia tra liberali e conservatori da una parte, e la sinistra dall'altra. I liberali e i conservatori hanno tendenzialmente enfatizzato la discontinuità tra il passato nazista e il presente. Per quanto riguarda il passato, hanno concentrato l'attenzione sulla persecuzione e lo sterminio degli ebrei e, tendenzialmente, hanno rimosso l'enfasi su altri aspetti centrali del nazismo. Sottolineando quello che è stato considerato il carattere di totale rottura tra Terzo Reich e Repubblica Federale, questa sorta di enfasi sull'antisemitismo ha aiutato paradossalmente ad evitare un confronto fondamentale con la realtà sociale e strutturale del nazionalsocialismo. Tale realtà sociale non è di certo scomparsa del tutto nel 1945. In altre parole, la condanna dell'antisemitismo nazista è servita anche come ideologia per legittimare il sistema attuale. Questa strumentalizzazione è stata possibile soltanto perché l'antisemitismo è stato trattato principalmente come una forma di pregiudizio, un'ideologia del capro espiatorio, celando, in tal modo, la relazione intrinseca tra antisemitismo e altri aspetti del nazionalsocialismo.
D'altra parte, la sinistra, tendenzialmente si è concentrata sulla funzione svolta dal nazionalsocialismo per il capitalismo, dando enfasi alla distruzione delle organizzazioni della classe operaia, alle politiche sociali ed economiche dei nazisti, al riarmo, all'espansionismo e ai meccanismi burocratici per il dominio di stato e di partito. Sono stati sottolineati gli elementi di continuità tra Terzo Reich e Repubblica Federale. Ovviamente, lo sterminio degli ebrei non è stato ignorato. Ciò nonostante, è stato velocemente incorporato nelle categorie più generali di pregiudizio, discriminazione e persecuzione. Nel valutare l'antisemitismo come elemento periferico, invece che centrale, del nazionalsocialismo, la sinistra ha anche offuscato la relazione intrinseca tra i due.
Entrambe queste posizioni spiegano l'antisemitismo moderno come un pregiudizio anti-ebraico, come un esempio particolare di generico razzismo. L'accento che pongono sulla natura della psicologia di massa dell'antisemitismo isola le considerazioni sull'Olocausto dalle indagini socioeconomiche e sociostoriche del nazionalsocialismo. Ad ogni modo, l'Olocausto non può essere compreso finché l'antisemitismo verrà visto come un esempio di razzismo generico e fintantoché il nazismo verrà concepito solo in termini di grande capitale e come stato di polizia terroristico e burocratico. Auschwitz, Belzec, Chelmno, Maidanek, Sobibor, e Treblinka non dovrebbero essere considerati al di fuori del quadro teorico di analisi del nazionalsocialismo. Essi rappresentano una delle sue conclusioni logiche, non semplicemente il suo epifenomeno più terribile. Nessuna analisi del nazionalsocialismo che non tenga conto dello sterminio degli ebrei europei è pienamente adeguata. 


I
In questo saggio tenterò un approccio alla comprensione dello sterminio degli ebrei europei, delineando un'interpretazione del moderno antisemitismo. Non è nelle mie intenzioni spiegare perché il nazismo e il moderno antisemitismo abbiano fatto breccia e siano divenuti fenomeni egemonici in Germania. Un tale tentativo presupporrebbe un'analisi delle specificità dello sviluppo storico tedesco, un argomento su cui si è scritto tanto. Invece, questo saggio tenta di determinare più da vicino cos'è che ha permesso questa breccia, suggerendo un'analisi del moderno antisemitismo che indichi la sua intrinseca connessione con il nazionalsocialismo. Tale disamina è un presupposto necessario a qualsiasi analisi sostanziale del perché il nazionalsocialismo abbia avuto successo in Germania.
Il primo passo dovrebbe essere una descrizione specifica dell'Olocausto e dell'antisemitismo. Il problema non va posto in termini quantitativi, come numero di persone uccise o grado di sofferenze inflitte. Nella storia ci sono troppi esempi di omicidi di massa e di genocidi (ad esempio, i nazisti uccisero molti più russi che ebrei.) La questione è, piuttosto, di tipo qualitativo. Fintantoché l'antisemitismo viene trattato come un esempio specifico di strategia del capro espiatorio le cui vittime avrebbero potuto benissimo essere membri di qualsiasi altro gruppo, aspetti particolari dello sterminio degli ebrei europei ad opera dei nazisti rimangono inspiegabili.
L'Olocausto fu caratterizzato da un senso di missione ideologica, da una relativa mancanza di emozioni e odio diretto (a differenza dei pogrom, per esempio), e, cosa più importante, dalla sua evidente mancanza di funzionalità. Lo sterminio degli ebrei non sembra essere stato un mezzo per un qualche fine. Gli ebrei non furono sterminati per ragioni militari o nel corso di un violento processo di conquista di terre (come avvenne nel caso degli indiani americani o dei tasmaniani). Tanto meno la politica dei nazisti verso gli ebrei assomiglia a quella che essi applicarono verso i polacchi e i russi, che aveva lo scopo di sradicare quei segmenti di popolazione attorno ai quali si poteva manifestare una resistenza, in modo da poter più facilmente sfruttare come schiavi la parte restante. Indubbiamente, gli ebrei non furono sterminati per nessun fine “estrinseco” manifesto. Lo sterminio degli ebrei non soltanto doveva essere totale, ma era lo scopo stesso — lo sterminio per lo sterminio —  scopo che esigeva la priorità assoluta.


Né un'interpretazione funzionalista dell'Olocausto, né una teoria dell'antisemitismo centrata sulla nozione di capro espiatorio antisemita possono fare minimamente chiarezza sul perché, negli ultimi anni della guerra, mentre le forze tedesche venivano schiacciate dall'Armata Rossa, una quantità significativa di veicoli venisse deviata dal supporto logistico all'esercito tedesco e usata per trasportare gli ebrei nelle camere a gas. Una volta riconosciuta la specificità di tipo qualitativo dello sterminio degli ebrei europei, diventa chiaro che i tentativi di spiegazione collegati al capitalismo, al razzismo, alla burocrazia, alla repressione sessuale o alla personalità autoritaria, rimangono fin troppo generici. La specificità dell'Olocausto richiede una mediazione molto più determinata anche soltanto nel tentare un approccio alla sua comprensione.


Naturalmente, lo sterminio degli ebrei europei è in relazione all'antisemitismo. La specificità del primo va collegata a quella del secondo. Inoltre, il moderno antisemitismo va considerato in relazione al nazismo in quanto movimento — un movimento che, in termini di percezione di sé, rappresentò una rivolta.
Il moderno antisemitismo, che non va confuso col comune pregiudizio antiebraico, è un'ideologia, una forma di pensiero, che emerse in Europa alla fine del diciannovesimo secolo. La sua progressiva affermazione presuppose l'esistenza secolare di anteriori forme di antisemitismo, che sono state parte integrante della civiltà cristiana occidentale per secoli. Ciò che accomuna tutte le forme di antisemitismo è il grado di potere attribuito agli ebrei: il potere di uccidere Dio, di scatenare la peste bubbonica e, più di recente, di introdurre il capitalismo e il socialismo. Il pensiero antisemita è fortemente manicheo, con gli ebrei che hanno il ruolo delle tenebre.
Non è soltanto il grado, ma anche la qualità del potere attribuito agli ebrei che distingue l'antisemitismo da tutte le altre forme di razzismo. Probabilmente tutte le forme di razzismo attribuiscono un potenziale potere all'Altro. Questo potere, comunque, solitamente è concreto, materiale o sessuale. È il potere potenziale dell'oppresso (in quanto represso), del "subumano" [Untermenschen]. Il potere attributo agli ebrei è molto più grande e viene percepito come reale piuttosto che potenziale. Inoltre, è un tipo diverso di potere, non necessariamente concreto. Ciò che caratterizza il potere imputato agli ebrei nell'antisemitismo moderno è che esso è misteriosamente intangibile, astratto e universale. È considerato una forma di potere che non si manifesta direttamente, ma che ha bisogno di trovare un'altra modalità di espressione. Esso cerca un veicolo concreto attraverso il quale poter agire, sia esso politico, sociale o culturale. In quanto - così come viene concepito nell'immaginazione del moderno antisemitismo - il potere degli ebrei non è legato al concreto, non è “radicato,” si presume che sia di un'immensità sconvolgente e estremamente difficile da controllare. Lo si considera stare dietro le apparenze, senza mai identificarsi con esse. La sua origine è considerata, pertanto, nascosta, cospiratrice. L'ebreo rappresenta una cospirazione immensamente potente, intangibile, internazionale.
Un manifesto di questa visione viene dato da un poster nazista che ritrae la Germania — personificata da un operaio forte e onesto — minacciata ad Ovest da un grasso e plutocratico John Bull [1] e, a Est, da un brutale e barbaro commissario bolscevico. Tuttavia, queste due potenze nemiche sono soltanto delle semplici marionette. Osservando sopra il margine del globo, coi fili delle marionette stretti forte tra le mani, c'è l'ebreo. Una tale concezione non è certamente monopolio dei nazisti. Nell'antisemitismo moderno, è caratteristico considerare gli ebrei come la forza oscura che si cela dietro i fratelli-nemici: capitalismo plutocratico e socialismo. La “lobby ebraica internazionale” inoltre, è percepita come ciò che si nasconderebbe dietro la “giungla d'asfalto” delle metropoli cancerogene, dietro la “cultura moderna, volgare e materialista” e, in generale, dietro tutte le forze che hanno contribuito al declino dei legami sociali, dei valori e delle istituzioni tradizionali. Gli ebrei rappresentano una forza estranea, pericolosa e distruttiva che minaccia il “benessere” sociale della nazione. Quindi, il moderno antisemitismo non è caratterizzato soltanto dal suo contenuto secolare, ma anche dal suo carattere sistematico. La sua pretesa è di spiegare il mondo: un mondo che è divenuto rapidamente troppo complesso e, per molti, minaccioso.
Questa definizione descrittiva dell'antisemitismo moderno è necessaria per differenziarlo dal pregiudizio o razzismo in generale. Ma non è sufficiente da sola a indicare la connessione intrinseca con il nazionalsocialismo. L'intento di superare l'usuale separazione tra analisi storico-sociale del nazismo e analisi dell'antisemitismo, a questo livello, non si è ancora attuata. Ciò che diviene necessario è una spiegazione che possa riconnettere i due aspetti. Una tale spiegazione dovrebbe essere in grado di fondare storicamente la forma di antisemitismo prima descritta, attraverso le stesse categorie che possono essere usate per spiegare il nazionalsocialismo. Non ho intenzione di negare le spiegazioni psicologico-sociali o psicoanalitiche, bensì di fornire una cornice storico-epistemologica di riferimento, entro la quale possano trovar posto ulteriori specificazioni di tipo psicologico. Una tale cornice di riferimento deve essere in grado di chiarire il contenuto specifico dell'antisemitismo moderno, e insieme deve essere storica, ossia, deve contribuire ad una comprensione del perché tale ideologia divenne così prevalente a quel tempo, alla fine del diciannovesimo secolo. Senza tale cornice, tutti gli altri tentativi che si incentrano su una dimensione soggettiva rimangono storicamente indeterminati. Ciò che è necessario, quindi, è una spiegazione in termini di epistemologia storico-sociale.
Una piena spiegazione della problematica dell'antisemitismo va ben oltre i limiti di questo saggio. Il punto che si vuole raggiungere, qui, invece, è che un'attenta analisi della visione del mondo dell'antisemitismo moderno rivela che si tratta di una forma di pensiero in cui il rapido sviluppo del capitalismo, con tutte le sue ramificazioni sociali, è personificato e identificato nell'ebreo. Non è che gli ebrei venivano semplicemente considerati detentori di denaro, come nell'antisemitismo tradizionale, ma venivano ritenuti responsabili delle crisi economiche e identificati con la serie di ristrutturazioni e spostamenti sociali, risultato di una rapida industrializzazione: l'urbanizzazione esplosiva, il declino delle classi e degli strati sociali, l'emergere di un vasto proletariato industriale sempre più organizzato e così via. In altre parole, il dominio astratto del capitale che — in particolare con la rapida industrializzazione — ha intrappolato le persone in una rete di forze dinamiche che, non riuscendo ad essere comprese, cominciarono ad essere percepite come il dominio della "lobby ebraica internazionale".
Comunque, questo è niente di più che un primo approccio. La personificazione è stata delineata, non ancora spiegata. Molti sono stati i tentativi di dare una spiegazione eppure, nessuno, secondo me, è stato completo. Il limite di queste teorie, come quella di Max Horkheimer, che si concentra sull'identificazione degli ebrei col denaro e con la sfera della circolazione, è che non possono rendere conto dell'idea antisemita che gli ebrei costituiscono anche il potere dietro la democrazia sociale e il comunismo. A un primo sguardo, teorie come quella di George L. Mosse, che interpretano l'antisemitismo moderno come rivolta contro la modernità, sembrerebbero più soddisfacenti: plutocrazia e movimenti operai sono entrambi concomitanti alla modernità e alla ristrutturazione sociale massiva frutto dell'industrializzazione capitalistica. Il problema di tali approcci è, comunque, che “il moderno” comprende indubbiamente il capitale industriale. Eppure, come è ben risaputo, persino nei periodi di più rapida industrializzazione, il capitale industriale non fu mai oggetto degli attacchi antisemiti. Inoltre, l'atteggiamento del nazionalsocialismo verso tante altre dimensioni della modernità, specialmente verso la tecnologia moderna, fu positivo, piuttosto che critico. Gli aspetti della vita moderna che furono rigettati dai nazionalsocialisti insieme a quelli da essi sostenuti formano un modello. Questo modello dovrebbe essere la premessa per un'adeguata concettualizzazione del problema. E considerato che questo modello non fu proprio soltanto del nazionalsocialismo, la problematica ha un significato di vasta portata.
L'accettazione del capitale industriale da parte dell'antisemitismo moderno rivela la necessità di un approccio che riesca a fare una distinzione tra cosa è il moderno capitalismo e la modalità in cui si manifesta, tra la sua essenza e la sua apparenza. Ora, il concetto di “modernità” non permette di operare una tale distinzione. Ritengo più adeguate le categorie sociali di “merce” e “capitale” sviluppate da Marx nella sua critica più matura, in quanto una serie di distinzioni tra cosa è e cosa sembra essere sono immanenti alle categorie stesse. Tali categorie possono servire come punto di partenza per un'analisi capace di distinguere differenti percezioni della “modernità.” Un tale approccio tenterà di mettere in relazione il "modello" che stiamo studiando - che comprende al contempo una "critica sociale" e un'accettazione dell'esistente - con le caratteristiche stesse dei rapporti sociali capitalisti. 


II


Tali considerazioni ci portano al concetto di feticismo di Marx, il cui intento strategico fu quello di realizzare una teoria storica e sociale della conoscenza fondata sulla distinzione tra l'essenza delle relazioni sociali capitaliste e le loro forme fenomeniche. Ciò che sta alla base del concetto di feticismo, in Marx, è l'analisi della merce, del denaro e del capitale, non viste semplicemente come categorie economiche, ma piuttosto come le forme di peculiari rapporti sociali che caratterizzano il capitalismo nella sua essenza. Nell'analisi marxiana, le forme capitalistiche dei rapporti sociali non appaiono come tali, ma si esprimono solo in forma oggettivata. Nel capitalismo il lavoro non è soltanto un'attività sociale produttiva (”lavoro concreto”), ma funge anche da mediazione sociale (”lavoro astratto”) al posto di rapporti sociali manifesti. Ne consegue che il suo prodotto - la merce - non è soltanto un oggetto d'uso nel quale si oggettiva lavoro concreto, ma è anche una forma di rapporti sociali oggettivati. Nel capitalismo, il prodotto non è un oggetto socialmente mediato da forme manifeste di rapporti sociali e di dominio. La merce, in quanto oggettivazione di entrambe le dimensioni del lavoro esistenti sotto il capitalismo, è la mediazione sociale di sé stessa. Pertanto, essa possiede un “doppio carattere”: valore e valore d'uso. In quanto oggetto, la merce esprime e, al tempo stesso, cela i rapporti sociali che fuori di essa non hanno altro modo di manifestarsi. Questo tipo di oggettivazione dei rapporti sociali è la loro alienazione. I rapporti sociali fondamentali propri del capitalismo acquistano una vita propria, quasi oggettiva: essi costituiscono una “seconda natura,” un sistema di dominio e di forza astratti che, anche se sociale, è impersonale e “oggettivo.” Tali rapporti non sembrano affatto sociali, ma naturali. Al tempo stesso, le forme categoriali esprimono anche una concezione particolare, socialmente costruita, della natura nei termini del comportamento oggettivo, regolato e quantificabile da leggi di un'essenza qualitativamente omogenea. Le categorie marxiane esprimono simultaneamente particolari rapporti sociali specifici e delle forme di pensiero. La nozione di feticismo allude a forme di pensiero che si basano su percezioni che restano prigioniere delle forme fenomeniche dei rapporti sociali capitalistici.


Quando si esaminano le caratteristiche specifiche del potere attribuito agli ebrei da parte dell'antisemitismo moderno — astrattezza, inafferrabilità, universalità, mobilità — colpisce il fatto che si tratta delle stesse caratteristiche di una delle dimensioni delle forme sociali analizzate da Marx: il valore. Pe di più, questa dimensione - come il presunto potere degli ebrei - non si manifesta in quanto tale, ma prende la forma di un supporto materiale: la merce.


A questo punto inizierò una breve analisi del modo in cui si presentano i rapporti sociali capitalistici. In tal modo tenterò di spiegare la personificazione sopra descritta e di chiarire il problema del perché l'antisemitismo moderno, che inveisce contro così tanti aspetti della “modernità,” sia stato così vistosamente silenzioso, oppure affermativo, nei confronti del capitale industriale e della tecnologia moderna.
Comincerò con l'esempio della forma merce. La tensione dialettica tra valore e valore d'uso, nella forma-merce, implica che questo “doppio carattere” si esteriorizzi nella forma-valore: esso appare così “doppiato” nel denaro (forma fenomenica del valore) e nella merce (forma fenomenica del valore d'uso). Benché la merce sia una forma sociale che esprime sia il valore che il valore d'uso, il risultato di questa esteriorizzazione è che essa appare ora solamente nella sua dimensione di valore d'uso, come oggetto puramente materiale, come cosa. Il denaro, d'altra parte, si presenta come il solo depositario del valore, come la manifestazione del puramente astratto, anziché come la forma fenomenica della dimensione-valore della merce. L'espressione dei rapporti sociali oggettivati specifica del capitalismo, appare a questo livello d'analisi come l'opposizione tra il denaro, in quanto "astratto", e la natura “cosale”.
Uno degli aspetti del feticismo, quindi, sta nel fatto che i rapporti sociali capitalistici non si manifestano in quanto tali e che, inoltre, si presentano in maniera antinomica, come opposizione tra l'astratto e il concreto. In aggiunta, poiché entrambe le parti dell'antinomia vengono oggettivate, ciascuna di esse appare come quasi-naturale. La dimensione astratta appare sotto forma di leggi naturali, universali, “oggettive,” astratte; la dimensione concreta appare come natura puramente “cosale”. La struttura dei rapporti sociali alienati che caratterizza il capitalismo si esprime in un’antinomia quasi-naturale, in cui il sociale e lo storico scompaiono.  Questa antinomia si ritrova nell'opposizione tra le forme di pensiero positiviste e quelle romantiche.  La maggior parte delle analisi critiche del pensiero feticizzato si è concentrata sul primo lato di questa antinomia, quello che fa dell'astratto un'ipostasi sovrastorica - il cosiddetto pensiero "positivo" e "borghese" - e dissimula con ciò il carattere sociale e storico dei rapporti esistenti.  In questo saggio, verrà messa in rilievo l'altra corrente — quella che include le forme di romanticismo e di rivolta che si autopercepiscono come antiborghesi, ma che nei fatti ipostatizzano il concreto e quindi rimangono confinate nell'antinomia prodotta dai rapporti sociali capitalistici.


Le forme di pensiero anticapitalistiche che rimangono invischiate nell'immediatezza di questa antinomia tendono a percepire il capitalismo e tutto ciò che è specifico a tale forma sociale, solo in funzione delle manifestazioni della sua dimensione astratta: per esempio, il denaro come “radice del male.” L’esistenza della dimensione concreta viene dunque opposta positivamente a quella astratta, in quanto “naturale” o ontologicamente umana, che si presume risieda al di fuori della specificità della società capitalistica. Perciò, come in Proudhon, ad esempio, il lavoro concreto viene percepito come un momento anticapitalista, opposto al carattere astratto del denaro. Il fatto che il lavoro concreto stesso incarni i rapporti sociali capitalistici e ne sia materialmente formato non viene colto.


Con l'ulteriore sviluppo del capitalismo, della forma-capitale e del feticismo le è associato, la naturalizzazione immanente del feticcio-merce assume nuove dimensioni. La forma-capitale, così come la forma-merce, è caratterizzata dalla relazione antinomica tra concreto e astratto ed entrambi appaiono come dati naturali. La qualità del “naturale”, tuttavia, è ora differente. Al feticcio-merce è associata la nozione di un sistema di relazioni in ultima istanza armoniose tra unità individuali autonome (questo modello concettuale è alla base dell'economia politica classica e delle dottrine del diritto naturale del XVIII secolo). Il capitale, secondo Marx, è valore che si autovalorizza; esso si caratterizza per un processo continuo, incessante, di autoespansione del valore. Questo processo è all'origine di cicli rapidi, su larga scala, di produzione e consumo, di creazione e distruzione. Il capitale non ha una forma definitiva, ma appare in diverse fasi del suo percorso a spirale sia sotto forma del denaro sia sotto la forma delle merci. In quanto valore che si autovalorizza, il capitale appare come puro processo. Parallelamente, la sua dimensione concreta si trasforma. I lavori individuali cessano di costituire delle unità autonome; essi diventano, in misura crescente, i componenti semplici di sistema allargato, dinamico e complesso, che ingloba l'uomo come la macchina, e che è orientato a un obiettivo, ossia, la produzione per la produzione. Questa totalità sociale alienata diviene maggiore della somma degli individui che la compongono, così come la sua finalità è loro esteriore. Questa finalità è un processo infinito. La forma-capitale dei rapporti sociali ha un carattere cieco, processuale, quasi-organico.


Con la crescente consolidazione della forma-capitale, la visione meccanicistica del XVII e del XVIII secolo comincia a venir meno. I processi organici cominciano a sostituire la meccanica statica come forma del feticismo. La teoria organicistica dello Stato e la proliferazione delle teorie razziali, così come l'ascesa del social-darwinismo alla fine del XIX secolo ne sono esempi tipici. La società e il processo storico vengono sempre più interpretati in termini biologici. Non svilupperò qui ulteriormente questo aspetto del feticismo capitalistico. Per i nostri scopi, vanno rilevate le implicazioni su come possa essere percepito il capitale. Come già indicato, sul piano logico dell'analisi della merce, il “duplice carattere” consente alla merce di apparire come un’entità puramente materiale, piuttosto che come l'oggettivazione di rapporti sociali che sono mediati. Comprensibilmente, esso permette al lavoro concreto di apparire come processo puramente materiale, creativo, scindibile dai rapporti sociali capitalistici. Sul piano logico del capitale, il “duplice carattere” (processo di lavoro e processo di valorizzazione) consente alla produzione industriale di apparire come processo puramente materiale, creativo, separabile dal capitale. Adesso, il concreto si manifesta in una forma più organicista. Il capitale industriale può, quindi, apparire come il discendente lineare del “naturale” lavoro artigianale, come “biologicamente radicato,” in opposizione al capitale finanziario “privo di radici,” “parassitario”. L’organizzazione del primo appare relazionata a quella delle corporazioni; il suo contesto sociale è aggrappato ad un'unità organica (biologica) superiore: Comunità [Gemeinschaft], Popolo [Volk], Razza. Il capitale stesso — o ciò che viene percepito come l'aspetto negativo del capitalismo — viene inteso soltanto come forma manifesta della sua dimensione astratta: il capitale finanziario e d'interesse. In questo senso, l'interpretazione biologica, che oppone la dimensione concreta (del capitalismo), in quanto “naturale” e “sana”, alla negatività di ciò che viene inteso per “capitalismo,” non è in contraddizione con una glorificazione del capitale industriale e della tecnologia. Entrambe costituiscono l'aspetto “materiale” dell'antinomia.


Generalmente questa relazione viene fraintesa. Ad esempio, Norman Mailer, nel difendere il neo-romanticismo (e il sessismo) in Il Prigioniero del Sesso, ha scritto che Hitler parlava di sangue, è certo, ma costruì la macchina. Il punto è che, in questa feticistica forma di “anticapitalismo”, sia il sangue che le macchine sono viste come principi concreti in oppisizione all'astratto. L'enfasi positiva sulla “natura”, sul sangue, il suolo, il lavoro concreto e la comunità [Gemeinschaft], può essere accompagnata da una glorificazione della tecnologia e del capitale industriale. Questa forma di pensiero, quindi, non dev’essere intesa come anacronistica, come l'espressione di una non-contemporaneità [Ungleichzeitigkeit], così come la diffusione delle teorie razziali nel tardo XIX secolo non vanno intese come ataviche. Si tratta, storicamente, di nuove forme di pensiero e non rappresentano in alcun modo il riemergere di forme più arcaiche. Ci appaiono ataviche o anacronistiche a causa della loro enfasi sulla natura biologica. Tuttavia, questa stessa enfasi ha le radici nel feticismo del capitale. Il ricorso alla biologia e il desiderio di un ritorno alle “origini naturali,” combinato ad una visione positiva della tecnologia, che appare sotto molte forme all'inizio del XX secolo, vanno intesi come espressione del feticismo antinomico che dà origine all'idea secondo la quale il concreto è “naturale”, e che presenta sempre di più il socialmente “naturale” in un modo che lo fa percepire in termini biologici.


L'ipostatizzazione del concreto e l'identificazione del capitale con l'astratto fenomenico, soggiace a una forma di “anticapitalismo” che pretende di superare l'ordine sociale esistente da un punto di vista che, in realtà, rimane immanente a tale ordine. Fintanto che il punto di vista è la dimensione concreta, questa ideologia tende a indicare una forma più concreta e organizzata di sintesi sociale chiaramente capitalistica. Questa forma di “anticapitalismo,” quindi, sembra soltanto guardare con brama al passato. In quanto espressione del feticismo del capitale il suo impulso reale è in avanti. Essa sorge all'epoca della transizione dal capitalismo liberale al capitalismo burocratico e diviene virulenta in una situazione di crisi strutturale.


Questa forma di “anticapitalismo,” quindi, è basata su un attacco unilaterale all'astratto. L'astratto e il concreto non vengono visti nel loro costituire un'antinomia in cui il superamento reale dell'astratto — della dimensione del valore — comprende il superamento storico dell'antinomia stessa così come ognuno dei suoi termini. C'è, invece, un attacco unilaterale alla ragione astratta, alla legge astratta o, ad un altro livello, al denaro e al capitale finanziario. In questo senso è antinomicamente complementare al pensiero liberale, in cui il dominio dell'astratto non viene problematizzato e in cui la distinzione tra ragione positiva e ragione critica non è effettuata.


L'attacco “anticapitalistico”, tuttavia, non si limita ad un attacco all'astrazione. Sul piano del feticcio-capitale, non è soltanto la parte concreta dell'antinomia che può essere naturalizzata e biologizzata. Anche la dimensione astratta manifesta viene biologizzata nella figura dell'Ebreo. L'opposizione feticistica tra il materiale, il concreto, da un lato, e l'astratto, dall’altro, cioè tra “naturale” e “artificiale,” è stata tradotta in un’opposizione razziale, dal punto di vista storico rilevante a livello mondiale, tra ariani ed ebrei. Il moderno antisemitismo include una biologizzazione del capitalismo - il quale viene concepito solo nella sua dimensione astratta manifesta – in quanto "lobby ebraica internazionale".


Secondo questa interpretazione, gli ebrei non furono semplicemente identificati col denaro, con la sfera della circolazione, ma col capitalismo stesso. Tuttavia, a causa della sua forma feticistica, il capitalismo non sembrò includere l'industria e la tecnologia. Il capitalismo sembrò coincidere solo con la sua dimensione astratta manifesta la quale, a sua volta, era responsabile dei vasti mutamenti sociali e culturali concreti associati al rapido sviluppo del moderno capitalismo industriale. Gli ebrei non furono visti semplicemente come rappresentanti del capitale (nel cui caso gli attacchi antisemiti sarebbero stati molto più specificamente di classe). Essi divennero la personificazione del dominio internazionale, intangibile, distruttivo, immensamente potente del capitale. Certe forme di scontento anticapitalistico furono dirette contro la dimensione astratta manifesta del capitale, personificata nell'Ebreo, non perché gli ebrei fossero coscientemente identificati con la dimensione del valore ma perché, data l'antinomia tra dimensione astratta e concreta, il capitalismo si manifestava in modo tale da generare esso stesso questa identificazione. Di conseguenza, la rivolta “anticapitalistica” fu anche una rivolta contro gli ebrei. Il superamento del capitalismo e dei suoi effetti sociali negativi fu identificato con la soppressione degli ebrei.


III


Nonostante sia stata suggerita la connessione immanente tra questa sorta di “anticapitalismo,” che diede forma al nazionalsocialismo, e l'antisemitismo moderno, rimane la domanda del perché l'interpretazione biologica della dimensione astratta del capitalismo trovasse il suo centro negli ebrei. Nel contesto europeo, questa “scelta” non fu fortuita. Gli ebrei non avrebbero potuto essere rimpiazzati da alcun altro gruppo. Le ragioni di ciò sono molteplici. La lunga storia dell'antisemitismo in Europa e l'associazione degli ebrei con il denaro ad esso collegata sono ben risapute. Il periodo di rapida espansione del capitale industriale negli ultimi trent'anni del XIX secolo ha coinciso con l'emancipazione politica e civile degli ebrei nell'Europa centrale. Ci fu un'autentica proliferazione di ebrei nelle università, nelle libere professioni, nel giornalismo, nelle arti, nel commercio. Gli ebrei divennero rapidamente visibili nella società civile, in particolare in quelle sfere e professioni che erano in espansione e che venivano associate con le più nuove forme che la società stava prendendo.
Si potrebbero menzionare molti altri fattori, ma ce n'è uno in particolare che vorrei sottolineare. Così come la merce, intesa come forma sociale, esprime il suo “duplice carattere” nell'opposizione esteriorizzata tra l'astratto (denaro) e il concreto (la merce), così la società borghese è caratterizzata dalla divisione tra Stato e società civile. Per l'individuo, questa divisione si esprime nella differenza tra il cittadino e la persona. In quanto cittadino, l'individuo è un'astrazione, come espresso, ad esempio, nella nozione di uguaglianza davanti alla legge (astratta), o nel principio di "una testa, un voto". In quanto persona, l'individuo è concreto, coinvolto negli effettivi rapporti di classe che vengono considerati “privati,” cioè riguardanti la società civile e che non dovrebbero quindi trovare un'espressione politica. In Europa, tuttavia, la nozione di nazione come entità puramente politica, astratta dalla sostanzialità della società civile, non fu pienamente realizzata. La nazione non era soltanto un'entità politica, ma anche concreta: una comunità di lingua, di storia, di tradizioni e di religione. In questo senso, l'unico gruppo in Europa che riuscì nella determinazione della cittadinanza come astrazione puramente politica, fu quello degli ebrei a seguito della loro emancipazione politica. Erano cittadini tedeschi o francesi, ma non realmente dei Tedeschi o dei Francesi. Appartenevano astrattamente ad una nazione, ma raramente in modo fattivo. In aggiunta, erano cittadini della maggior parte dei paesi europei. La qualità dell'astrazione, caratteristica non soltanto della dimensione del valore nella sua immediatezza, ma anche, in maniera mediata, dello Stato e della legge borghesi, venne strettamente identificata con gli ebrei. In un periodo in cui il concreto venne glorificato contro l'astratto, contro il “capitalismo” e lo stato borghese, questa associazione divenne fatale. Gli ebrei erano senza radici, cosmopoliti, astratti.


IV


L'antisemitismo moderno è dunque una forma di feticismo particolarmente pericolosa. Il suo potere e il suo pericolo derivano da una visione onnicomprensiva del mondo che spiega e dà forma a certe modalità di scontento anticapitalistico in un modo che lascia incolume il capitalismo attraverso l'attacco alle personificazioni di quella forma sociale.


Così inteso, l'antisemitismo ci consente di carpire un momento essenziale del nazismo in quanto un movimento anticapitalistico snaturato, un movimento caratterizzato dall'odio per l'astratto, dall'ipostatizzazione del concreto esistente e da una decisa, spietata — anche se non necessariamente piena d'odio — missione: liberare il mondo dalla fonte di tutti i mali.


Lo sterminio degli ebrei europei è il segnale come sia troppo semplice trattare il nazismo come un movimento di massa con implicazioni anticapitalistiche che cambiò pelle alla fine nel 1934 (”Roehm Putsch”)[2], una volta che aveva servito al suo scopo e che si era impadronito del potere statale. In primo luogo, le forme ideologiche di pensiero non sono semplicemente manipolazioni coscienti. In secondo luogo, questa visione fraintende la natura dello “anticapitalismo” nazista — la cui entità era legata intrinsecamente a una visione antisemita del mondo. Auschwitz rappresenta questa connessione. È vero che l’”anticapitalismo” in qualche modo troppo concreto e plebeo delle SA (Sturmabteilung) fu messo da parte a partire dal 1934; non così, invece, l’impulso antisemita — la “consapevolezza” che la fonte del male fosse l'astratto, l'Ebreo.


Una fabbrica capitalistica è un luogo in cui si produce valore che, “sfortunatamente” deve prendere la forma di produzione di merci, di valori d'uso. Il concreto viene prodotto in quanto veicolo necessario per l'astratto. I campi di sterminio non furono una versione orribile di tale fabbrica ma, piuttosto, andrebbero visti come la sua negazione grottesca, ariana, “anticapitalista”. Auschwitz fu una fabbrica per la “distruzione del valore,” cioè, la distruzione delle personificazioni dell'astratto. La sua organizzazione era quella di un perverso processo industriale, il cui scopo era “liberare” il concreto dall'astratto. Il primo passo fu disumanizzare, ossia strappare la “maschera” dell'umanità, di specificità qualitativa, e rivelare gli ebrei per quello che “realmente sono” — ombre, cifre, astrazioni numeriche. Il secondo passo fu sradicare tale astrattezza, trasformarla in fumo, cercando al contempo di recuperare gli ultimi avanzi di “valore d'uso” concreto e materiale: vestiario, oro, capelli, sapone.


Auschwitz, non la presa di potere dei nazisti nel 1933, fu la vera “Rivoluzione Tedesca”, il tentato “rovesciamento” non solo di un ordine politico, ma di una formazione sociale esistente. Con questa impresa il mondo doveva essere salvato dalla tirannia dell'astratto. Nel corso del procedimento, i nazisti “si liberarono” essi stessi della propria umanità.


I nazisti persero la guerra contro l'Unione Sovietica, l'America e l'Inghilterra. Vinsero, però, la loro guerra, la loro “rivoluzione,” contro gli ebrei europei. Non soltanto riuscirono ad ammazzare sei milioni di bambini, donne e uomini ebrei. Essi riuscirono a distruggere una cultura — una cultura antichissima — quella giudaica europea. Era una cultura caratterizzata da una tradizione che incorporava una tensione complicata tra particolare e universale. Tale tensione interna era duplicata in una tensione esterna, che caratterizzava la relazione tra ebrei e ambiente circostante cristiano. Gli ebrei non furono mai pienamente parte delle ampie società in cui vissero, né furono mai pienamente in disparte in queste società. Spesso i risultati, per gli ebrei, furono disastrosi. Talvolta furono molto fruttuosi. A seguito dell'emancipazione, questo campo di tensione si sedimentò nella maggioranza degli individui ebrei. La risoluzione finale di questa tensione tra particolare e universale è, nella tradizione ebraica, una funzione temporale, storica — la venuta del Messia. Forse, comunque, con la secolarizzazione e l'assimilazione, gli ebrei europei avrebbero rinunciato a quella tensione. Forse questa cultura sarebbe gradualmente scomparsa in quanto tradizione vivente, prima che la risoluzione del particolare e dell'universale si fossero realizzate. A questa domanda non vi sarà mai risposta.




[1] – “John Bull” – personificazione nazionale della Gran Bretagna creata originariamente da John Arbuthnot



[2] – “Röehm Putsch” – Anche conosciuto come "Notte dei lunghi coltelli", fu una purga che avvenne in Germania dalla notte del 30 giugno al giorno del 1 luglio del 1934, quando il partito nazista decise l'esecuzione di decine di suoi membri, la maggioranza appartenenti alla denominata “Sturmabteilung” (SA), una fazione paramilitare capeggiata da Ernst Röhm. L'occasione fu anche utilizzata per perseguitare comunisti e socialdemocratici, così come conservatori ritenuti sospetti.



traduzione by lpz & E. Diekleiner